“E’ da vent’anni che l’economia italiana non cresce e in Europa solo la Grecia e San Marino crescono meno dell’Italia, ma purtroppo questo Governo, nato da un’emergenza politica, non ha una strategia e una visione di medio e lungo periodo”. Carlo Cottarelli, economista di provata esperienza e già Direttore esecutivo del Fondo Monetario che all’inizio di questa legislatura il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella incaricò di formare il Governo che non trovò però i numeri per dare vita a una maggioranza, non è tenero e non si fa illusioni sullo stato della nostra economia. Però non ha perso la speranza di contribuire, con le sue idee e con gli studi dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani che dirige all’Università Cattolica, a portare il Paese fuori dal tunnel. E’ per questo che ha aderito a Base Italia, il network che l’ex sindacalista Marco Bentivogli ha appena lanciato. “L’impegno di Base Italia – spiega Cottarelli in questa intervista a FIRSTonline – è quello di approfondire e diffondere idee sui temi di fondo, non solo economici, del nostro Paese con una visione di medio-lungo ” che è praticamente assente dal dibattito pubblico e che sappia offrire una prospettiva di crescita soprattutto alle nuove generazioni. Sentiamolo.
Professor Cottarelli, che cosa l’ha spinta ad aderire a Base Italia lanciata da Marco Bentivogli?
«La convinzione che sia una buona cosa quella di contribuire ad approfondire e a diffondere idee e proposte su temi essenziali e non solo economici per l’Italia, che aiutino il Paese a crescere e a migliorarsi».
Nel presentare Base Italia, Bentivogli ha detto che non sarà un nuovo partito né uno dei soliti think tank. Ma allora, in concreto, che cosa sarà?
«Sarà un Centro che svilupperà idee su aspetti spesso trascurati dal dibattito pubblico – ad esempio le problematiche delle nuove generazioni e del loro futuro – e che riguardino non tanto il breve o brevissimo periodo, ma si proiettino sul medio e lungo termine. Avere un’idea su come sarà l’Italia fra 10 o 20 anni e attrezzarsi per affrontare i problemi del Paese in un orizzonte più ampio credo che, soprattutto in una fase come quella che stiamo attraversando, possa essere molto utile».
Base Italia ha già una piattaforma programmatica sulle priorità che il Paese dovrebbe far proprie se vuole costruire un futuro migliore?
«Ci stiamo lavorando, ma ci vuole un po’ di tempo. Personalmente conto di dare il mio contributo sia nel Comitato Scientifico che nel Comitato Direttivo dell’associazione, ma siamo appena nati e siamo ai primi passi».
Quello di Base Italia è anche un primo passo per fare politica in modo nuovo, cioè attento soprattutto ai contenuti e in una logica di medio-lungo periodo?
«Qualunque impegno civile come il nostro è fare politica, ma senza stravolgere la nostra funzione».
I contenuti programmatici che elaborerete potrebbero creare un terreno favorevole alla convergenza delle forze riformiste ed europeiste di centro e di centrosinistra come +Europa, Azione e Italia Viva?
«Non è questo il ruolo e lo scopo per cui è nata Base Italia e per cui io ho aderito».
Professore, veniamo alla stretta attualità. Come giudica il modo in cui il Governo sta affrontando con il nuovo Dpcm l’emergenza sanitaria e la seconda ondata di contagi?
«Purtroppo non bene. In Italia come in altri Paesi si è sottovalutato l’arrivo della seconda ondata. È avvenuto soprattutto in estate, quando, complici le vacanze, pensavamo di essere usciti dal tunnel. Ma ci sbagliavamo e non ci siamo preparati. Colpa del Governo? Certamente, ma non solo. Chi guida il Paese porta sempre la principale responsabilità, ma anche l’opinione pubblica ha purtroppo fatto la sua parte».
In realtà, almeno in Europa, nessuno ha ancora trovato la chiave per domare il Covid.
«In effetti solo in Asia, e in particolare in Cina e in Corea del Sud, sono riusciti a contrastare la pandemia. Conta il fatto che, soprattutto in Cina, questo sia avvenuto in un un regime non democratico? È difficile dire se sia così o se i successi nella lotta al Covid siano stati anche il frutto del caso, perché l’epidemia non ha un corso lineare e basta un errore per sballare tutto».
La lotta all’emergenza sanitaria si lega a quella contro la spaventosa recessione economica che ne è seguita: Lei che voto darebbe alla strategia economica del Governo?
«Non voglio dare voti ma solo giudizi. In realtà il Governo è una coalizione d’emergenza che sta insieme senza una chiara strategia di lungo periodo. Governo assolutamente legittimo e con una maggioranza parlamentare, ma senza un orizzonte che vada oltre l’emergenza, anche se l’arrivo del Recovery Fund dovrebbe indurlo a darsi una visione più ampia. Sarebbe ora di fare i conti con il fatto che l’Italia non cresce da vent’anni e che nella classifica del Fondo Monetario Internazionale è al 170° posto su 180 Paesi: in Europa solo Grecia e San Marino crescono meno dell’Italia, e questo dice tutto. È un risultato desolante».
Il Governatore Visco dice che per tornare ai livelli pre-Covid la nostra economia avrà bisogno di almeno due anni: ha ragione?
«Sì, quello è l’orizzonte temporale necessario a recuperare i livelli pre-Covid, che erano già molto insoddisfacenti e che richiederebbero una politica economica molto più aggressiva. Bisognerebbe partire dalla madre di tutte le riforme, quella della Pubblica amministrazione, che deve mettere lo Stato in condizione di erogare buoni servizi e non ostacolare le attività private con le sue tradizionali lentezze e con i suoi cavilli. Ma questo dovrebbe essere solo il primo passo».
Che altro servirebbe?
«Una strategia di lungo termine che riformi tutto il sistema della pubblica istruzione, dagli asili nido alle università, che investa realmente sulla ricerca e che riformi seriamente la giustizia, cancellandone la paralizzante lentezza che la contraddistingue. Gli obiettivi devono essere chiari: più crescita e reale uguaglianza di opportunità per tutti».
Non crede però che per realizzare la modernizzazione del sistema Italia di cui Lei parla occorrerebbe sdoganare due parole – la meritocrazia e la competitività – che una parte del Paese considera bestemmie?
«Sì, la meritocrazia e la competitività devono essere la bussola dello sviluppo, a condizione che si intreccino con l’uguaglianza delle opportunità. Da questo punto di vista, Base Italia può dare una mano con un’utilissima opera d’informazione e predicazione civile e democratica sui punti-chiave del nostro futuro e soprattutto di quello delle nuove generazioni».
Ammesso e non concesso che esistano le condizioni politiche, che attualmente non si vedono, la costituzione di un governo di unità nazionale potrebbe essere una soluzione per tirarci fuori dal tunnel?
«No, non credo. Un governo di unità nazionale rischierebbe di affondare nei veti e controveti delle forze che lo sostengono e di finire impantanato nell’immobilismo in una fase in cui occorrono invece idee chiare e capacità di realizzarle».