Nel 2017 le principali aziende italiane hanno visto i ricavi aumentare del 5,8%, interrompendo un quadriennio di cali consecutivi. È cresciuto l’export (+7,1%) e ha ben figurato anche il mercato domestico (+5,2%). I dati emergono da un’indagine dell’ Area Studi di Mediobanca sui bilanci aggregati di 2.075 imprese industriali e di servizi nel decennio 2008-2017.
L’analisi rivela anche che il fatturato aggregato è tornato sui livelli del 2008 (-0,6%), ma sulla base di una forte disparità: il mercato interno è ancora lontano dai livelli pre-crisi (-10,4%), mentre l’export si è portato a +25,2%.
Il risveglio del 2017 ha interessato tutti i comparti, tanto le imprese pubbliche (+6,7%), quanto le private (+5,6%) e quelle a controllo estero (+4%); hanno registrato progressi l’industria (+6,6%), il terziario (+3,2%) e la manifattura (+6,1%); dentro la manifattura hanno fatto bene tanto le grandi imprese (+6,9%), quanto le medio-grandi (+6,8%) e le medie (+6,6%) e con loro tutto il made in Italy (+4,6%).
Quasi tutti i settori merceologici hanno guadagnato fatturato nel 2017, con tre sole eccezioni: l’emittenza TV (-1,9%, per minore canone e calo degli abbonamenti), l’editoria (-3,3%) e, soprattutto, le imprese di costruzione (-3,5%) che flettono per il secondo anno consecutivo per l’esaurimento delle grandi commesse in Italia e all’estero. Ma nel 2016 il quadro era peggiore, con undici settori in regresso sul 2015.
I settori top seller nel 2017 sono metallurgia (+17,9% sul 2016), petrolifero (+11,4%), cartario (+9,2%), pelli e cuoio (+9%), impiantistico (+8,7%), mezzi di trasporto (+7,2%), trasporti (+7,1%), gomma e cavi (+6,9%), chimico (+6,8%) ed energetico (+6,2%); da segnalare il secondo aumento delle Tlc (+1,6%), dopo sette anni di arretramenti.
I settori top seller dal 2008 sono invece pelli e cuoio (+52,5%), local utilities di acqua, igiene ambientale, aeroporti e autostrade (+33,2%), mezzi di trasporto (+29,9% ma solo +9,9% senza FCA), bevande (+29,2%), conserviero (+28,1%), trasporti (+22,6%) e Gdo, soprattutto non alimentare e discount (+21,8%).
Infine, i peggiori settori dell’ultimo decennio sono l’editoria (-42,1%), i prodotti per l’edilizia (-36,5%), il petrolifero (-35,6%), l’impiantistico (-23,5%) e le Tlc (-22,7%).
NON DI SOLO FATTURATO SI VIVE: LO SA BENE LA MANIFATTURA
Sul fronte dei margini industriali (Mon) e dell’occupazione la strada è ancora lunga, essendo i dati del 2017 inferiori rispettivamente dell’11,6% e del 3,7% rispetto al 2008. In termini di margini industriali, le cifre non sono incoraggianti: -15,9% le aziende pubbliche, -10,1% le private, addirittura -32,4% il terziario. Il quadro sarebbe assai più fosco se non fosse rischiarato dalle ottime performance della manifattura: +26,5%, grazie all’apporto delle medie imprese (+23,5%), delle medio-grandi (+23,3%) e delle grandi (addirittura +80,8% che cala al +48,6% senza FCA Italia).
Il 2017 ci ha consegnato un’industria ai migliori livelli di solidità finanziaria: il 73,3% delle imprese è investment grade (in recupero di 11,2 punti percentuali sul 2008), con i settori dell’alta (84%) e medio-alta tecnologia (77,5%) ai vertici, meno brillanti la medio-bassa (71,7%) e bassa tecnologia (70,5%).
Buone notizie anche per gli investimenti, in aumento del 6,4% sulla media del quadriennio precedente (2013-2016), con la manifattura in grande spolvero (+14,6%) e il terziario che ha dato segni di vitalità (+6,5%) dopo anni di stasi. Dal 2013, in particolare, gli investimenti della manifattura sono cresciuti del 27,5% con un recupero della competitività del 12,7% e un’età del parco impianti cresciuta di appena il 7%.
Dulcis in fundo, anche il peso del fisco va calando. Nel 2017 il tax rate dell’aggregato è stato pari al 20,8% in diminuzione di 7,5 punti sul 2013.
GLI STRANIERI IN ITALIA: COSA FANNO E COME LO FANNO
Le principali aziende straniere in Italia sono 557 e realizzano un fatturato di 221 miliardi, pari a un terzo del totale nazionale. Le presenze più significative sono quelle di Francia (60,1 miliardi), Usa (38,8 miliardi), Germania (26,5 miliardi), UK (21 miliardi) e Svizzera (12,2 miliardi).
Nel 2017 queste imprese hanno investito in Italia 10,9 miliardi, contro i 18,5 delle società a controllo italiano. Pagano stipendi maggiori del 10% e hanno una produttività superiore del 12,5%. Sono più efficienti e dunque competitive nel chimico-farmaceutico e nella meccanica, pari nell’alimentare, meno performanti nei beni per la persona e la casa.
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