Sono eroi per caso, per necessità, per scelta, per vocazione. I medici, i biologi, gli infermieri che stanno lottando contro il Covid 19 sono le truppe in trincea a difesa della nostra salute, quelle che ci garantiscono almeno la speranza di un futuro. Maria Carla Re, virologa, docente universitaria, con un curriculum denso di titoli ed esperienze nazionali e internazionali, oggi lavora a tempo pieno sul nuovo Coronavirus, in quanto responsabile del CRREM, Centro di Riferimento Regionale per le Emergenze Microbiologiche del policlinico Sant’Orsola di Bologna, il laboratorio che fa il maggior numero di tamponi per tutta la regione. Esperta di HIV ed Ebola, è una delle professioniste più stimate nel suo campo e sta mettendo tutte le sue energie per identificare i nuovi casi della pandemia mondiale che ha contagiato anche l’Emilia-Romagna. FIRSTonline l’ha intervistata per fare il punto della situazione e per capire cosa possiamo aspettarci.
Professoressa, come sta andando il suo lavoro?
“Siamo in emergenza, facciamo turni lunghissimi, lavoriamo sette giorni su sette, giorno e notte. È dura. Il CRREM ha 3 dirigenti e 6 tecnici, che subiscono turni stressanti, senza tregua. Molte persone si sono rese disponibili ad aiutarci e ci aiutano in modo concreto e silenzioso, ma nel laboratorio è bene che lavorino solo persone con esperienza pregressa nelle emergenze, come quelle che ci sono oggi. Il problema è che la domanda di esami cresce continuamente. Riceviamo oltre 400 tamponi al giorno e sono tutti urgenti. Come facciamo a dare una risposta immediata a tutti? Ne riusciamo a repertare al massimo 200 e gli altri vanno in coda. Il tempo medio di risposta per 100-150 tamponi, su 400, è in giornata poi ci vogliono 24-48-72 ore. Diamo priorità ai ricoverati con polmoniti interstiziali, poi ai nuovi accessi di polmoniti, poi alle polmoniti semplici, poi agli operatori sanitari dal settimo giorno dall’eventuale contatto. Non riusciamo però ad avere regole che durino una settimana, ogni giorno le cose cambiano”.
Le misure attuate dal governo per contenere l’epidemia in questa fase sono giuste?
“Molto giuste: Governo, regione, direzioni ospedaliere, tutti si stanno comportando magnificamente. La prevenzione è basilare. Limitare la diffusione è indispensabile, perché il sistema sanitario non collassi e per abbassare le probabilità che il virus muti”.
Nei giorni scorsi la cancelliera tedesca Angela Merkel ha parlato di un rischio contagio per la Germania del 60%-70% della popolazione. È così?
“Non lo so. Credo che saggiando tutta la popolazione italiana scopriremmo numeri molto più alti di quelli attuali, ma in questa situazione siamo costretti a dare priorità ai sintomatici. Passata questa fase potremo alzare lo sguardo dai tamponi e concentrarci anche su altro, per esempio sulla risposta immunitaria di alcune persone asintomatiche o con sintomi lievi, sulle caratteristiche del virus, sulle sue capacità replicative in colture cellulari, sui meccanismi patogenici. Ci sarebbe davvero tanto da fare, perché lo studio di base è fondamentale per capire”.
Questo sciame epidemico ci aiuta a immunizzarci in qualche misura?
“Possiamo solo fare delle ipotesi. Ci troviamo di fronte a un virus a RNA, quindi a un virus che è in grado, durante il suo ciclo replicativo, di mutare costantemente. Lo abbiamo imparato dal virus influenzale, da Ebola, da HIV. Queste mutazioni, che avvengono in numero elevato durante le fasi replicative del virus, possono portare ulteriori mutazioni che permetteranno al virus stesso di trovare nuovi recettori su altre cellule, di modificarne (sia in senso positivo, sia in senso negativo) il suo potere patogeno, di fare un ulteriore salto di specie. Detto semplicemente se il virus fosse stabile l’immunità prodotta ci permetterebbe di avere una protezione nei confronti di successivi contatti con lo stesso agente patogeno. Ma i virus a RNA sono virus infedeli, si replicano, mutano e allargano il loro spettro d’infezione. Dobbiamo rispettare le nuove norme, non andare in luoghi affollati, non uscire se non quando è indispensabile sia per limitare la diffusione sia perché più gente s’infetta più aumentano le probabilità che il virus si modifichi. In fondo anche quello del raffreddore è un coronavirus, ma nessuno ha mai trovato il vaccino, perché il virus cambia continuamente. Chi trovasse il vaccino per il raffreddore probabilmente vincerebbe il premio Nobel”.
Il nuovo Coronavirus si trasmette solo per via aerea o anche per ingestione? Per essere più espliciti: se sul mio panino c’è il virus, io mi ammalerò dopo averlo mangiato?
“Teoricamente no, però nessuno lo sa con certezza, perché, ripeto, può mutare. Al momento possiamo dire che il nuovo Coronavirus, il Covid 19, è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro delle persone infette che arrivano a noi tramite saliva, tossendo e starnutendo. Inoltre ci possiamo infettare da soli se, con le nostre mani non lavate e che hanno incontrato il virus, ci tocchiamo bocca, naso o occhi. Alcuni dati di letteratura riportano che, in alcuni rari casi, il contagio potrebbe avvenire attraverso contaminazione fecale, ma per questo dobbiamo aspettare studi precisi e puntuali. Per ora è un virus respiratorio, quindi il suo panino è salvo”.
Come dobbiamo comportarci con gli alimenti che compriamo? Possono essere “contagiati”? Meglio cuocere tutto? E i prodotti confezionati? E gli abiti che indossiamo?
“A questo livello sarei tranquilla, anche se, dobbiamo sempre ricordare, che ci troviamo di fronte a un virus nuovo, di cui conosciamo poco. Si sta studiando molto, ma abbiamo bisogno di un po’ di tempo per potere capire le reali capacita di questo nuovo agente patogeno”.
Perché in Italia l’incendio è stato così rapido e dirompente?
“Perché parliamo di un virus trasmissibile per via aerogena, quindi facilmente diffusibile e parliamo di un virus nuovo, nei confronti del quale nessuno aveva un patrimonio immunitario. Può darsi che il primo contagiato di Codogno avesse una carica virale molto alta”.
È vero che gli altri paesi hanno meno casi perché hanno fatto meno tamponi all’inizio?
“Chissà! Sicuramente noi abbiamo avviato subito un monitoraggio molto stretto. Il nostro laboratorio era già in stato di pre-allarme in gennaio e il vero inizio dei test è del 2 di febbraio”.
Come mai avete cominciato così presto?
“L’allerta era pressante. In Cina i casi diventavano troppo numerosi per credere che l’infezione non arrivasse anche in Europa, o in Italia. La prima settimana di febbraio abbiamo cominciato a esaminare i casi che i nostri clinici ci mandavano, in quanto la sintomatologia poteva essere significativa. Il vero boom però c’è stato dopo il 20”.
Cosa c’insegna l’esperienza cinese?
“L’esperienza cinese c’insegna che il contenimento dell’infezione prevede tempi abbastanza lunghi, ma nello stesso tempo siamo cautamente ottimisti sui risultati che stanno ottenendo”.
Quando potrebbe essere il picco dell’epidemia?
“Dipende, se parliamo di Cina, di Europa o di altro. In Cina abbiamo 81.000 casi, noi più di 15.000 e poi Iran, Corea, Spagna fino ad arrivare agli Stati Uniti. Gli ultimi paesi devono imparare dai primi paesi coinvolti. Noi dalla Cina, gli altri da noi”.
Ci sono speranze per un vaccino e in che tempi?
“Le speranze sono tante, tutto il mondo lavora a un vaccino. Questo però prevede diverse fasi sperimentali prima di essere disponibile su larga scala e nessun può dire quando sarà pronto. Vedremo poi se si tratterà di un vaccino preventivo o terapeutico e se dovremo usarlo subito, perché non avremo il tempo di saggiarlo prima sugli animali. C’è un solo risvolto positivo nel Covid-19 ed è il silenzio dei No Vax. La paura li ha messi finalmente a tacere. Sa quanto tempo potremmo risparmiare in questa fase se tutte le persone fossero vaccinate contro l’influenza? Moltissimo. Invece facciamo tamponi a chi, magari, ha solo l’influenza, rubando tempo a chi cerca di sopravvivere. Inoltre le due patologie possono sommarsi, aumentando il rischio di complicanze. Ogni anno l’influenza ha costi sociali ed economici altissimi. Mi auguro che questa dura lezione, che mai avrei voluto vivere, ci serva per il futuro”.
Quanto pensa che andrà avanti questa fase acuta?
“Mi vedo male ancora almeno per un mese. Forse sono troppo ottimista”.
Crede che il caldo attenuerà l’epidemia?
“Non lo so, lo spero. Se appartiene alle cosiddette malattie da freddo, abbiamo più probabilità che cali con l’avanzare della stagione”.
Questo virus l’ha stupita?
“Sono sempre stupefatta di fronte ai nostri nemici invisibili, i virus, alla loro capacita di replicarsi, di silenziarsi in alcune occasioni, di innescare delle patologie diverse (e in questo momento penso ai virus oncogeni). L’esperienza fatta studiando l’HIV mi ha insegnato molto sul passaggio dei virus dagli animali all’uomo. Allora si trattava delle scimmie e negli anni ’80 la mortalità per AIDS era altissima. Poi si è capito che si poteva arginare il virus con rapporti sessuali protetti, si sono trovate delle terapie e l’HIV è diventato, per chi è positivo, una condizione cronica. Ci sono stati altri passaggi di specie: l’aviaria, la mucca pazza, la sars. Ecco, potevamo aspettarcelo. Ora dobbiamo lottare con tutte le nostre forze e utilizzare questa terribile esperienza per migliorare. La terra è un ciclo unico e dobbiamo tenerne conto: se si ammala lei, si ammalano i cibi che mangiamo e gli animali e quindi noi. Ricordiamocelo quando saremo fuori dall’emergenza”.