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Copa America o Loca America? Uruguay e Paraguay a un passo dalla storia contro tutti i pronostici

di Federico Bertone – L’imprevedibile e pazza finale di Copa America tra Uruguay e Paraguay sta già scrivendo la storia del calciosudamericano – La Celeste di Tabarez e Suarez contro l’Albirroja di Tata Martino e Villar – Il cuore di Napoli e della maggior parte degli italiani batte per l’Uruguay di Cavani

L’hanno ribattezzata la “Loca America”. Già, perché questa edizione della Copa (la 43esima), ha regalato sorprese come non mai. Alzi la mano chi, il primo di luglio, avrebbe pronosticato una finale Uruguay – Paraguay. Nessuno? Tranquilli, non c’è pericolo, perché neanche il più folle degli scommettitori avrebbe potuto immaginare Argentina e Brasile fuori ai quarti di finale, battute (non a caso) proprio da Uruguay e Paraguay.

Ma, a parte il cammino che le porterà domenica sera a giocarsi la Copa, le due finaliste non hanno niente in comune. Da una parte la Celeste di Oscar Washington Tabarez, spumeggiante, offensiva e con campioni di spessore internazionale. Dall’altra l’Albirroja (testualmente “la biancorossa”), capace di arrivare all’atto conclusivo del torneo senza aver vinto neanche una partita (!).

L’eroe uruguayano è Luis Suarez, capocannoniere in coabitazione con Sergio Agüero, che a gennaio è passato dall’Ajax al Liverpool per la maxi – cifra di 27 milioni di euro. Il simbolo del Paraguay invece è Justo Villar, portiere appena acquistato dall’Estudiantes, capace di parare anche l’imparabile contro il Venezuela e, soprattutto, contro il Brasile. Da una parte un attaccante, dall’altra un portiere, ecco la fotografia delle due contendenti. Entrambe però meritano di essere qui, e per capirlo basta tornare indietro di un anno, al Mondiale di Sudafrica. L’Uruguay arrivò addirittura in semifinale, sconfitta solo dall’Olanda di Robben e Sneijder, mentre il Paraguay si fermò ai quarti, contro la Spagna campione del mondo. Ironia della sorte, a bloccare los hombres di Gerardo Martino fu un calcio di rigore sbagliato da Cardozo, che avrebbe potuto portare l’Albirroja in vantaggio contro i “cugini” spagnoli.

Quest’anno però, il dischetto si sta rivelando l’alleato migliore del “Tata” Martino. Il piano tattico, più o meno, è questo: resistere per 120 minuti (grazie alle parate di Villar e ai legni delle porte argentine) e portare il match ai rigori. Lì, il Paraguay sente il profumo della vittoria. Ne sa qualcosa il Brasile delle stelle, incapace di trasformare anche un solo tiro dal dischetto nel quarto di San Juan. Ne sa qualcosa anche il Venezuela, vicinissimo al gol in numerose occasioni (3 pali) ed eliminato praticamente senza subire un tiro in porta.

La cornice finale poi (maxi – rissa con tanto di intervento in campo della polizia) ha dato quel tocco di “sudamericanità” alla competizione. Stoici e fortunati questi paraguayani, che nonostante i mezzi tecnici limitati, si trovano ad un passo dalla storia. L’Albirroja non vince una Copa America dal 1979, quando, nello spareggio di Buenos Aires, sconfisse il Cile grazie alla differenza reti. Contro l’Uruguay però (Villar dixit) “Non basterà giocare per andare ai rigori”. Dall’altra parte ci sarà infatti la nazionale più “europea” del torneo, forte tecnicamente ma soprattutto tatticamente. Inutile nascondersi, la maggior parte dei tifosi “neutrali” tiferà per la Celeste, anche se al Monumentàl (storico stadio del River Plate), gli uomini di Tabarez pagheranno lo scotto di aver eliminato l’Argentina padrone di casa.

Di sicuro però, all’Uruguay non mancherà l’appoggio dell’Italia, in particolare della città di Napoli. In campo infatti (distorsione al ginocchio permettendo) ci sarà Edinson Cavani, per tutti “El Matador”. L’idolo del San Paolo trasformerà la città all’ombra del Vesuvio in una curva celeste, un po’come fece Diego Armando Maradona nel 1990. Ma l’Italia presente nell’Uruguay, non si limiterà al Matador. Oltre all’ex juventino Caceres (che a dir la verità ha lasciato ben pochi ricordi) e al bolognese Perez, grande attenzione verrà riservata al “Maestro” Tabarez, ex allenatore di Cagliari (che portò al nono posto in classifica) e Milan. L’esperienza rossonera del CT fu decisamente deludente, e, probabilmente, resta tuttora il più grande cruccio della sua carriera.

A Milanello, i suoi metodi non furono capiti fino in fondo da un gruppo che, dopo i successi di Sacchi e Capello, aveva poca voglia di imparare cose nuove. E così il Maestro, dopo una brutta sconfitta in quel di Piacenza, fu esonerato per fare posto al ritorno dell’Arrigo Vincente. Ma Tabarez la prese con filosofia, e ricominciò a girare il mondo. Nel 2006 poi, arrivò la chiamata più attesa, quella della Celeste, che lo rivoleva in panchina dopo l’esperienza del biennio 1988 – 1990. Il quarto posto di Sudafrica 2010 non è stato il classico canto del cigno, come dimostra appunto questa Copa America. I complimenti, l’anno scorso come oggi, arrivano in massa, ma la Celeste ha voglia di vincere un trofeo. L’ultimo risale al 1995, quando gli uruguayani alzarono al cielo la Copa battendo il Brasile ai calci di rigore. Domenica sera dunque (alle 21.00 ore italiane), due nazioni trepideranno per scrivere la storia. Ma forse, visto il cammino di entrambe, la storia è già stata scritta.

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