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Cop26, Chicco Testa: “Investimenti in combustibili fossili da ridurre ma non azzerare”

Imagoeconomica

“Nel lungo periodo è sulla strategia delle rinnovabili che bisogna puntare”, ha detto Mario Draghi al termine del Consiglio europeo di venerdì scorso. L’Italia ha fatto questa scelta e vi lavora non senza difficoltà. Circa 70 miliardi del PNRR sono destinati a ridisegnare il Paese in chiave green senza tralasciare alcun settore. Quanto la politica sia concentrata sui temi dell’energia e sulle fonti fossili, lo dice anche il dibattito di queste settimane sull’aumento delle bollette e sugli effetti della ripresa economica. Ma l’Italia insieme alla Gran Bretagna è anche tra gli organizzatori del prossimo summit sul clima di Glasgow che inizia il 31 ottobre. In quella sede questi temi saranno al centro di un nuovo confronto mondiale da cui dovrebbero scaturire proposte più incisive. Ma la transizione ecologica impostata dal governo Draghi centrerà davvero tutti gli obiettivi indicati ? E le difficoltà che incontra sono tutte superabili ?
Ne abbiamo parlato con Chicco Testa, manager di lungo corso e Presidente dell’Associazione delle Imprese Servizi Ambientali

Presidente Testa, tra pochi giorni inizia la Cop26 a Glasgow. Cosa dobbiamo aspettarci e come ci arriva l’Italia?

“L’Italia, complice anche la crisi economica iniziata nel 2008, presenta un buon risultato sul fronte delle politiche energetiche, avendo superato gli obiettivi al 2020. Siamo, invece, indietro rispetto agli obiettivi previsti, sia per le fonti rinnovabili che per l’efficienza energetica al 2030. Serve, quindi, uno sforzo addizionale, che in parte potrà essere sostenuto grazie ai fondi previsti dal PNRR per la transizione energetica, con investimenti da completare entro il 2026. Sono previsti, infatti, incentivi importanti (ecobonus 110%), fondi per l’efficientamento degli edifici pubblici e fondi per le fonti rinnovabili”.

Lei, di recente, ha segnalato la caduta degli investimenti nella ricerca delle fonti fossili. L’Agenzia Europea dell’Ambiente ha lamentato, invece, pochi investimenti pubblici nelle rinnovabili. Come spiegare queste due tesi contrapposte?

“La politica energetica è un argomento molto delicato, da maneggiare con cura. Gli investitori guardano alle politiche pubbliche, alle aspettative e alle scelte concrete dei governi. Mentre si sostengono obiettivi per la decarbonizzazione bisogna stare attenti a non scoraggiare troppo gli investimenti nei combustibili fossili, di cui abbiamo un assoluto bisogno (anche se in modo decrescente) per molti anni ancora. In caso contrario si rischiano black-out e aumenti delle bollette per scarsità di offerta”. 

C’è chi sostiene che bisogna farlo.

“È una cosa che non possiamo permetterci. Abbiamo sostenuto fonti rinnovabili ed efficienza energetica con una massa gigantesca di risorse pubbliche negli ultimi anni, pagate dalle bollette di cittadini ed imprese italiane, con gli oneri di sistema. Non mi sembra sia questo il problema”. 

La transizione ecologica italiana, però, sconta l’ostacolo della burocrazia. Al di là delle buone intenzioni di riforma, non é che il governo ha osato un po’ troppo sugli obiettivi?

“Gli obiettivi che i Paesi sviluppati si sono dati sono collegati con il macro obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro 1,5/2 gradi. Sono obiettivi oggettivamente sfidanti e difficili, ma se dobbiamo contrastare il riscaldamento globale, dobbiamo andare in quella direzione”. 

Ma i profili autorizzativi sono una gabbia….

“Certo, in Italia non si ottengono questi risultati senza coprire ettari di territorio con pale eoliche (anche in mare) e pannelli fotovoltaici, favorendo geotermia e combustione dei rifiuti e delle biomasse, e realizzando centrali idroelettriche. Tutte cose che generano conflitti locali, in un Paese in cui le Sovrintendenze interpretano la ‘tutela del Paesaggio’ in modo ideologico e irragonevole. Poi c’è la burocrazia, con le autorizzazioni che impiegano anni, per vedere la luce. Speriamo che le misure di semplificazione volute dal Governo Draghi funzionino”.

In campo ci sono decine di aziende impegnate per ridisegnare il sistema Paese. Eni ed Enel, per dire, fanno alleanze e aggiornano i piani strategici verso le rinnovabili. Stanno davvero facendo abbastanza per i nuovi scenari? 

“I grandi gruppi e le multinazionali si stanno muovendo bene ed in modo coerente con gli obiettivi. Ma la sfida della transizione energetica riguarda tutte le imprese e tutti i cittadini”.

Nonostante le difficoltà, si va verso un sistema di economia circolare. Lei presiede l’Associazione delle Imprese Servizi Ambientali (Fise-Assoambiente). Sul fronte dei rifiuti qualcosa si muove. Il Ministro Cingolani ha sbloccato i primi fondi per nuovi impianti. Bastano per uscire dall’emergenza ? 

“I bandi del PNRR per l’economia circolare prevedono 2,1 miliardi di euro. Una cifra importante ma insufficiente. Noi abbiamo stimato una necessità di investimenti nel settore rifiuti urbani e speciali di circa 10/15 miliardi di euro. Le misure previste dai bandi del Ministro Cingolani sostengono impianti pubblici ed iniziative private con finanziamenti a fondo perduto”.

Invece

“Noi avremmo preferito usare le risorse per definire strumenti economici di mercato aperti a tutti gli operatori senza differenze: certificati del riciclo, riforma dell’ecotassa, incentivi fiscali per i prodotti riciclati. Insieme alla semplificazione delle autorizzazioni, gli strumenti economici consentono al meglio alle imprese di finanziare gli investimenti con risorse proprie”. 

Ma quanto investono le aziende del settore?

“Le aziende pubbliche e private investono ogni anno circa 500 milioni in economia circolare”.  

Le ricadute di tutto ciò si avranno sui territori, ma gli Enti locali si sentono esclusi da alcune scelte energetiche e ambientali fatte al centro. Cosa si può fare ?

“Una parte dei bandi del PNRR sull’economia circolare sono destinati a Comuni e Autorità di Ambito. I Comuni sono stati poi esonerati dai decreti semplificazione da molti adempimenti in materia di Ecobonus 110%. Per raggiungere gli obiettivi servono progetti su scala industriale, e non sempre la dimensione comunale è quella adeguata”.

É il problema dei tempi definiti per fare le opere.

“Sì, le risorse del PNRR vanno spese entro il 2026 ed è, quindi, comprensibile che il Governo Draghi abbia molto centralizzato i meccanismi di spesa, pur di rispettare queste scadenze”. 

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