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Cooperazione e missioni internazionali: il rinnovato (e tardivo) interesse verso l’Africa

Photo by Maksim Shutov on Unsplash

Le iniziative legislative degli ultimi giorni sembrano invertire il luogo comune secondo il quale l’Africa sia poco conosciuta e poco considerata in Italia. Nonostante la nostra storica presenza sul continente sotto varie forme, quest’area geografica viene raramente posta al primo posto nel dibattito politico nazionale, se non per i flussi migratori. Una delle cause è la visione distorta e limitata che opinione pubblica, media e classe dirigente hanno del continente e delle sue dinamiche. È interessante notare come la voce Africa abbia conquistato più spazio nelle audizioni parlamentari tenutesi nell’ambito dell’esame del documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo e nel Decreto missioni in discussione in Parlamento nelle ultime settimane.

I rappresentanti della Farnesina (in particolare della DG Cooperazione e sviluppo e dell’AICS) hanno sottolineato la necessità di mettere al centro le conseguenze che il Covid19 porterà in termini di aumento delle disuguaglianze mettendo a disposizione risorse straordinarie in particolare per il continente africano. Nel Decreto missioni internazionali in corso di approvazione alle Camere in questi giorni, è evidente come la presenza militare in Africa aumenti in modo significativo: Sahel, Golfo di Guinea, Corno d’Africa e Maghreb (quest’ultimo, fonte di aspre polemiche riguardanti i finanziamenti alla Guardia Costiera libica) sono i principali teatri in cui opereranno i nostri soldati, nell’ambito di diverse operazioni multilaterali e non.

Il ministro Guerini, intervistato dall’Istituto Affari Internazioinali, ha commentato: “In ambito Ue il maggiore impegno è in Africa poiché l’intera area saheliana è oggetto di uno sforzo per assistere i Paesi dell’area a contrastare la minaccia jihadista. La duplice sfida per noi europei è costruire una leadership che non sia di un singolo Stato membro Ue, ma dell’Unione nel suo complesso, e costruirla in sinergia con l’Alleanza atlantica”. Senza entrare nel dibattito riguardante l’effettiva utilità di missioni militari che spesso non risolvono i problemi alla radice delle crisi Sub Sahariane, ma rispondono più a logiche puramente geopolitiche e di difesa di interessi particolari (il velleitario contrasto alla pirateria, senza capire e affrontare i problemi strutturali che alimentano questo fenomeno, ne è un esempio lampante), tali iniziative contribuisco a dar più peso all’Africa nella nostra politica estera.

Alla rinnovata attenzione verso questi Paesi, corrisponde il problema strutturale di uno scarso coordinamento delle realtà italiane che operano in Africa, e che mina spesso l’efficacia e la portata delle loro iniziative. Difficoltà ribadita in Commissione esteri, dove i rappresentanti della cooperazione italiana hanno sottolineato come il nuovo approccio multistakeholder alla cooperazione riconosciuto anche dalla legge 125, non abbia ancora trovato mezzi e strumenti che lo valorizzino al meglio. Le relazioni tra Paesi sono un processo lento e articolato. Negli ultimi decenni, l’Italia ha trascurato l’immenso vicino meridionale, oggi raccontato troppo spesso attraverso luoghi comuni e semplificazioni, impedendoci di vedere l’eterogeneità, la complessità e le potenzialità del continente e di considerarlo un partner politico economico alla pari. Di qui l’urgenza di intensificare non solo i rapporti economici, ma anche politici e culturali.

Altre nazioni, prevedendo da tempo l’importanza cruciale del continente africano nel nuovo equilibrio internazionale, hanno giocato d’anticipo. L’azione di Pechino, dimostra come l’interscambio non si limiti al campo economico. Fin dal secolo scorso studenti africani sono regolarmente invitati a studiare in Cina, mentre negli ultimi mesi il gigante asiatico ha prontamente fornito assistenza sanitaria e ha aumentato gli aiuti bilaterali donando attrezzature di vario genere (test, abbigliamento/attrezzature speciali, mascherine), inviando personale sanitario e condividendo la sua esperienza”, ribadendo così l’importanza dell’Africa per la sua crescita economica di lungo periodo e per la sua sfera d’influenza. L’India, da canto suo, ha annunciato nel 2018, l’apertura di 18 nuove ambasciate in Africa. La Turchia ne conta attualmente 42 e i voli della Turkish Airlines con destinazioni africane sono aumentati da 13 nel 2009 a 52 nel 2017.

Il ruolo svolto dai servizi segreti turchi nella liberazione di Silvia Romano in Somalia, Paese con il quale l’Italia ha sempre meno rapporti, conferma le mire Sub Sahariane di Ankara. La Gran Bretagna, all’indomani della Brexit, ha prontamente organizzato l’UK-Africa Investiment Summit, tenutosi lo scorso gennaio a Londra, per tracciare le linee guida per i prossimi anni di questa rinnovata collaborazione. La Francia, nonostante ogni Presidente eletto annunci la fine della Françafrique, ha continuato a esercitare tutta la sua influenza sulle ex-colonie sia sul piano politico-militare (con le recenti operazioni in Sahel e RCA) che su quello economico, dello sviluppo e della promozione culturale.

Berlino, dal canto suo, può contare sulla potenza di fuoco della GIZ, l’agenzia di cooperazione tedesca, con risorse stanziate per l’Africa nel 2018 pari a 838.242.155€ (32%), incomparabili con quelle dell’italiana AICS, ferme a poco più di 50 milioni per la stessa area geografica. Oltre ad una rilevante presenza militare, la Germania può contare su una fitta rete di fondazioni legate ai partiti tedeschi che contribuiscono ad aumentarne l’influenza in gran parte del continente (la Friedrich-Ebert-Stiftung e la Konrad-AdenauerStiftung, ad esempio, hanno aperto rispettivamente 20 e 14 uffici in quest’area del mondo). Infine, l’Unione Europea rimane il principale partner commerciale e politico, nonché il più grande donatore,
dell’Africa.

In questo senso, la nuova Commissione ha ribadito la volontà di intensificare i rapporti con questo continente: il primo viaggio extra-UE di Ursula Von der Leyen è stato proprio ad Addis Abeba, sede dell’Unione Africana. Se da un lato sarebbe impensabile competere contro questi giganti internazionali senza agire in seno all’UE, dall’altro, l’Italia potrebbe intensificare le sue iniziative bilaterali verso l’Africa, proponendosi come un interlocutore in grado di offrire le proprie eccellenze e sensibile alle istanze di questi Paesi, come sostiene Giuseppe Mistretta, Direttore Africa della Farnesina: “Siamo dei buoni interpreti delle aspettative africane a livello europeo e a livello G7/G20. Lo siamo sicuramente più dei paesi nordici”.

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