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Contractual arrangement al Consiglio europeo del 19: scambio tra riforme e sostegno finanziario

FIRSTonline

Non è ancora stata completata l’Unione bancaria, che già in Europa si comincia a discutere delle prossime iniziative sul coordinamento delle politiche economiche per far ripartire la crescita. Gli ostacoli non sono pochi. A cominciare dalla mancanza di fiducia. Qualche giorno fa, la stessa Angela Merkel, davanti all’assemblea degli imprenditori tedeschi, riunitosi per la consueta conferenza annuale su “Business e Crescita”, ha ribadito che il problema in Europa è che “si è promesso praticamente tutto e mantenuto molto poco”.

A conti fatti, la cancelliera non sembra avere tutti i torti. Ciò che è successo durante la crisi dimostra che l’azzardo morale è sempre dietro l’angolo. Nell’estate del 2011, ad esempio, l’Italia non diede seguito agli impegni presi in sede europea – riforme da implementare e conti da mettere in ordine – nonostante la Bce si fosse adoperata in suo soccorso acquistando titoli di stato sul mercato secondario. La Germania reagì a quell’ennesimo episodio di promesse non mantenute sostenendo la proposta del Presidente della Banca centrale europea Draghi di introdurre un Fiscal Compact, un insieme di misure volte a rendere più stringenti le regole sui conti pubblici contenute nel Patto di Stabilità e Crescita. Un giro di vite necessario dal punto di vista tedesco anche perché, in passato, quelle regole erano state ripetutamente violate dalla maggior parte dei governi nazionali; quello di Berlino incluso. In base ai nuovi accordi, il deficit – al netto degli effetti del ciclo – non potrà superare lo 0,5% del Pil; per quanto riguarda il debito, la quota eccedente la soglia del 60% dovrà essere ridotta ogni anno di un ventesimo. In caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, il Fiscal Compact prevede l’applicazione quasi automatica delle sanzioni.

Un meccanismo prevalentemente basato sulle sanzioni ha dimostrato, però, di funzionare poco. E così si pensa di cambiare. Non solo sanzioni, quindi, ma anche incentivi, ossia “meccanismi di solidarietà”, da introdurre attraverso l’adesione ad un “contractual arrangement”. Per ora circola solo una bozza di proposta che sarà discussa al Consiglio europeo del 19 dicembre prossimo. In sostanza, un paese con conti fuori controllo, potrebbe decidere di sottoscrivere con la Commissione europea un contratto in cui s’impegna a portare avanti le riforme per “incrementare la competitività, gli investimenti e la disciplina di bilancio”. In cambio, potrebbe ottenere un sostegno finanziario. Ancora non è chiaro quale potrebbe essere la forma di questo sostegno (un prestito?), chi lo potrebbe emettere (il Fondo salva Stati?) e quale potrebbe essere l’impatto sui conti pubblici (un incremento?) del paese che ne beneficerà. Oppure potrebbe ottenere più tempo per ridurre il proprio debito; cosa che sarebbe particolarmente utile per un paese come l’Italia che fatica a far ripartire la crescita. Il dibattito è aperto.

Attraverso questi nuovi strumenti, si vuole ottenere un duplice risultato. In primo luogo, responsabilizzare i governi nazionali sul piano delle riforme. In secondo luogo, rafforzare il ruolo delle istituzioni europee, accelerando – di fatto – la creazione di un super Ministro delle Finanze europeo con poteri di controllo sui bilanci degli stati dell’eurozona. La proposta non è, però, priva di rischi. I contractual arrangments potrebbero essere percepiti dall’opinione pubblica come un “commissariamento” della politica economica nazionale. E, in un momento di euroscetticismo dilagante, è difficile far accettare una nuova cessione di sovranità.

Tuttavia, è proprio in una fase come questa, di disaffezione generale verso le istituzioni europee, che bisognerebbe fare un po’ di chiarezza. Quando i politici italiani, sia di centrodestra che di centrosinistra, dicono di essere pronti a “battere i pugni” per un’Europa politica, non ostaggio dei burocrati, omettono di spiegare agli elettori che per avere “più Europa” bisogna essere disposti a cedere sovranità. Il caso degli eurobonds è emblematico. Da più parti, si reclama l’introduzione di una qualche forma di mutualizzazione dei debiti. La Germania ha dato la sua disponibilità in cambio, però, di una politica fiscale comune: una richiesta subito interpretata come l’ennesima dimostrazione di “egoismo”. In buona sostanza, a parole tutti invocano “più Europa” ma, nei fatti, nessuno è disposto a dare “più poteri all’Europa”.


Allegati: La Grande Coalizione tedesca spegne le illusioni: in Europa non si cambia

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