Ancora un aumento dei tassi ufficiali da parte della Bce ieri e ancora fieno in cascina per le banche.
Ieri la Banca centrale europea ha alzato il suo tasso di interesse di riferimento, quello che si usa per calcolare il tasso di prestiti e mutui nei Paesi dell’euro, di un altro quarto di punto al 4%, il massimo dalla creazione della moneta unica europea nel 1999. Poco più di un anno fa era a -0,5%.
Ciò significa che ora i prestiti della Bce alle banche commerciali si faranno in prevalenza al 4,5%, i depositi delle banche presso la Bce saranno remunerati al 4%.
Invece i depositi ordinari della clientela presso le banche in Italia sono in media remunerati allo 0,32%, secondo i dati più recenti dell’Associazione bancaria italiana.
Le banche continueranno quindi a veder aumentare i loro utili, che dovranno servire anche a rafforzare la loro componente patrimoniale.
Il governo Meloni aveva grossolanamente provato a imporre un’imposta del 40% sugli extraprofitti delle banche, pur pensando a una certa modulazione. Ma la Bce l’ha bocciata vedendone dei rischi per il sistema bancarie e la stabilità patrimoniale e quindi, alla fine alla per il cliente finale.
La voce delle grandi banche: ecco perchè non possono remunerare i conti correnti
La posizione delle grandi banche rispetto alla remunerazione dei conti correnti è stata spiegata negli ultimi giorni da diversi esponenti. In generale, le banche ora ritengono che tenere i nostri soldi sul conto corrente sia un servizio e che quindi non solo non deve essere remunerato, come accadeva un tempo, ma addirittura dovrebbe essere pagato. Infatti sono solo piccole banche al momento che offrono una remunerazione sui conti correnti in Italia, piccola e a volte fantasiosa, oppure lo fanno per una strategia di svuluppo comerciale come ha fatto in questi giorni la spagnola Bbva.
Ma vediamo qual è invece la posizione delle grandi banche in merito. Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo, è stato chiaro sull’argomento quando è intervenuto a inizio settembre al Forum Ambrosetti: “in passato, quando i tassi di interesse erano negativi e in altri Paesi sono stati applicati ai depositi, noi in Italia non lo abbiamo fatto, quindi c’è la disponibilità a venire incontro ai clienti”. Tuttavia, ha aggiunto Gros-Pietro, “il rapporto deve essere funzionale all’esercizio del credito. I tassi crescono nella remunerazione del risparmio a tempo, raccolta che consente alla banche di finanziare gli investimenti, il risparmio a vista è invece un servizio che viene reso ai risparmiatori”. Quindi: i conti correnti sono liberi nei movimenti e rappresentano un servizio (che non va remunerato dalla banca), mentre i conti deposito (con vincolo a tempo del denaro) vanno remunerati. Il conto corrente non è uno strumento per la gestione del risparmio ma uno strumento per gestire la liquidità e perciò, secondo le garndi banche, non remunerato e conferma una volta di più che tenere i risparmi congelati sul conto corrente non è la scelta più razionale e conveniente.
Sulla stessa linea è Remo Taricani, Deputy Head di UniCredit Italia, secondo cui “il conto corrente non è uno strumento pensato per l’investimento dei risparmi, piuttosto per la gestione delle esigenze correnti”. Di conseguenza, nel valutare “l’economicità di un conto corrente è opportuno prendere in considerazione sia il tasso d’interesse che i costi di gestione”, prosegue il manager. Dallo scorso aprile, Unicredit ha abbassato i costi per 4,5 milioni di titolari di conti correnti in media di 4 euro al mese, ricorda Taricani, “per un risparmio annuo medio di circa 50 euro. Mentre per l’investimento dei risparmi sono disponibili prodotti e soluzioni più appropriate”. La banca milanese, nell’ambito del piano per l’Italia lanciato a giugno, è intervenuta per alleviare i costi dei finanziamenti, consentendo la rateizzazione a tasso zero degli acquisti effettuati con carta Flexia per chi ha un Isee inferiore ai 25 mila euro e consentendo di allungare la durata del mutuo fino a 4 anni per contenere l’importo della rata.
Per Matteo Faissola, responsabile commerciale di Banco Bpm, la banca “valuta costantemente le iniziative per la gestione della raccolta dei nostri clienti e ha un adeguato catalogo di offerta sui prodotti di investimento”.
Anche Andrea Ragaini, vicedirettore generale vicario di Banca Generali, non ha dubbi sul fatto che il conto corrente è un servizio. La banca, specializzata nella gestione del risparmio di clienti di fascia alta e molto alta, non ha “alcuna intenzione di mettere mano ai tassi dei conti correnti” dice il manager. “Restiamo fedeli alla nostra concezione di conto corrente come servizio a disposizione del cliente per depositare la liquidità che serve per l’ordinaria vita familiare, più quella in attesa di essere reinvestita. Molto lontana da noi l’idea di un conto corrente che possa essere interpretato come una forma di investimento”. Ragaini sottolinea che questo modo di intendere il c/c è un vero controsenso in una situazione, come quella dell’italiano medio, caratterizzata per esempio da una forte sottoassicurazione dei rischi. “L’italiano è ben poco propenso a investire in polizze, di qualsiasi tipo. Questa tendenza cozza col fatto che il nostro è un Paese con forte debito pubblico e che in prospettiva non potrà fare molto sul fronte del welfare, dove anche la demografia e le politiche immigratorie per ora non giocano a favore. Giusto quindi cercare rendimenti extra, ma non è certo il conto corrente lo strumento che può risolvere in maniera strutturale questo problema”.