Mettiamo il caso che in un immobile con molti appartamenti si scopra che in uno di essi, magari al primo piano, si è aperta una crepa in un muro portante, la quale tende ad allargarsi e a salire verso gli altri piani. L’assemblea condominiale invita il proprietario dell’appartamento in questione a provvedere, assicurandogli di volersi assumere le responsabilità spettanti al condominio. Ma questo signore si rifiuta, adducendo di non avere alcuna intenzione di sottostare agli interessi della comunità dei proprietari e rivendicando il diritto di tenersi le proprie crepe nei muri (#padrone in casa mia). È quello che sta succedendo in Italia.
Non è mia intenzione esprimere un giudizio compiuto sul governo Conte bis. Per quanto mi riguarda, dopo le parole che il premier ha pronunciato in Senato mettendo bene in evidenza la pericolosità per le istituzioni di Matteo Salvini, sarei disposto a nominare Conte Re, Imperatore, persino Papa. Ma è giusto aspettare gli eventi, non dare niente per scontato, vedere se il presidente incaricato riuscirà a formare un governo, con quali ministri e quale programma.
Comunque vadano le cose, trovo disonesto sostenere che questo eventuale governo farà gli interessi di tutti fuorché quelli dell’Italia. Soprattutto non riesco a capacitarmi di come gli interessi nazionali siano diversi da quelli dell’Unione, della Francia e della Germania. Nel mio girovagare televisivo mi è persino capitato di incontrare un esponente di Fratelli d’Italia (di origine missina) che ha definito “collaborazionista” con la Germania un eventuale governo Conte, quando la storia è testimone di una “collaborazione” con una Germania molto diversa da quella di oggi, che è costata orrori, lutti e devastazioni per il nostro Paese.
Ciò premesso, vorrei capire a che cosa corrisponde, secondo i patrioti liberi e coraggiosi, il nostro interesse nazionale. L’Italia esce dall’esperienza del governo giallo-verde con una pressione fiscale aumentata, con un debito pubblico che ad ottobre toccherà i 2,4mila miliardi di euro, con una crescita economica tendente allo zero, con un sostanziale fallimento (almeno negli obiettivi di favorire l’impiego dei giovani e debellare la povertà) di quota 100 e del reddito di cittadinanza, i perni identitari del contratto per il cambiamento e della legge di bilancio 2019. Tutto ciò per restare nel campo dell’economia (dove si sono sprecate, parlando a vanvera (ricordate i minibot?) ingenti risorse minacciando a torso nudo (‘a Matté facce Tarzan) di non attenersi alle regole europee, salvo arrendersi al primo ruggito di quella Commissione derisa fino al giorno precedente.
Se si volessero esplorare altri orizzonti, il governo si è contraddistinto – con i decreti sicurezza – nel violare tutto ciò che gli era possibile: dall’articolo 10 della Costituzione ai trattati e consuetudini internazionali, alle leggi del mare. E alla pietas umana. Isolata sul piano europeo e ritenuta inaffidabile su quello delle alleanze internazionali, l’Italia ha conosciuto uno dei periodi più grevi della propria storia recente.
Si dirà che Conte e il M5S non erano andati a pescare quando tutto ciò accadeva. È vero. Però le cose cambiano e in politica contano gli atti. Si può sostenere onestamente che Conte sia quello di un anno fa? Se all’inizio del suo mandato più che un “avvocato del popolo” somigliava al legale dei suoi due vice, “messo lì nella vigna a far da palo”, pronto ad eseguire i loro ordini, magari accontentandosi di fornire qualche consiglio in privato (clamorose furono le sue retromarce su temi delicati dopo le sfuriate di Matteo Salvini e patetiche le sue telefonate da Bruxelles per ottenere il via libera), col trascorre dei mesi ha preso sul serio l’incarico che gli era stato affidato “un po’ per celia, un po’ per non morir”.
È divenuto lui l’interlocutore dei “burocrati di Bruxelles”. Ha capito dove si prendono le decisioni vere e si è reso conto che conviene avere accesso nella stanza dei bottoni, sia pure da un ingresso di servizio e chiedendo educatamente il permesso di entrare. È stato il riferimento del Quirinale nell’ambito del governo ora dimissionario. Uomo di mediazione tra le opinioni altrui, ha imparato a fare sintesi mettendoci del suo. Quando ci fu da negoziare con la Commissione i contenuti della manovra per l’anno in corso, nonostante i clamori volgari provenienti dagli ottimati della maggioranza, con un vero e proprio colpo di teatro, modificò, insieme al ministro Tria, l’ordine dei decimali (da 2,4 a 2,04) del deficit, con i conseguenti tagli alla spesa per quota 100 e il reddito di cittadinanza, in barba ai brindisi festosi dei pentastellati.
Qualche mese dopo, con la trovata dell’assestamento di bilancio, il premier ha di nuovo disarmato la procedura di infrazione riducendo al silenzio i suoi due vice (in particolare Capitan Fracassa) e costringendoli a marinare la seduta del Consiglio dei ministri che sottoscrisse l’atto di resa. Come è stato possibile che un signore deriso dai comici, considerato un Carneade e privo di appoggi politici, tanto da poter essere definito, impunemente, un “burattino” in una seduta del Parlamento europeo, sia divenuto nel giro di qualche mese un decisore di ultima istanza?
Conte ha saputo approfittare del terrore dei pentastellati per un eventuale voto anticipato, tanto da convincerli di essere lui quello che poteva evitare loro il salto nel buio e li ha persuasi del fatto che l’unica via d’uscita a loro disposizione, dopo la sconfitta del 26 maggio, non era quella di tornare sulle barricate (dove stava già Salvini), ma di ritagliarsi uno spazio all’interno delle istituzioni (non si dimentichi mai che il M5S ha iniziato la campagna elettorale per le europee corteggiando i gilet gialli e l’ha finita votando, in modo determinante, per Ursula Von der Leyen).
Ma ritornando all’interesse nazionale, come dobbiamo considerare, in queste ore, il balzo a Piazza Affari, il crollo dello spread e dei tassi di interesse sui Btp? Come l’effetto di una congiura dei poteri forti, quegli stessi che avevano dichiarato guerra al Capitano facendo salire lo spread apposta? Oppure la speranza di essersi liberati, almeno fino alla legge di bilancio 2020, di Matteo Salvini e delle sue politiche?