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Conte, da Milano ai talebani quanti sfondoni del capo del M5S

Imagoeconomica

Povero Giuseppi. Da quando Matteo Renzi l’ha defenestrato da Palazzo Chigi ma anche da quando è diventato presidente dei Cinque Stelle dopo una rocambolesca e per ora solo apparente ricucitura con il fondatore del Movimento Beppe Grillo, l’ex premier non ne azzecca una. Prima è inciampato su Milano e poi, molto più gravemente, sui talebani caldeggiando con loro un “serrato dialogo”.

Un numero clamorosamente sbagliato gli ha fatto fare una pessima figura su Milano. In una lettera al Corriere della Sera in cui ha fatto autocritica per il modo in cui M5S ha spesso sottovalutato il ruolo di Milano e del Nord e ha preannunciato un indefinito “nuovo corso” del Movimento per fare di Milano – dove, guarda caso, si vota in ottobre – la base della ripartenza del Paese, l’ex premier è scivolato sui numeri della povertà infantile della metropoli lombarda. Conte ha parlato di 200 mila, salvo poi correggersi perchè in realtà i ragazzi del milanese in povertà sono 20 mila. “Un errore di battitura” s’è scusato Conte. Può capitare, ma lo svarione la dice lunga sull’approssimazione dei Cinque Stelle. Ma è un peccato più grave che l’ex premier non abbia colto l’occasione su Milano per rettificare e per prendere chiaramente le distanze dal clamoroso autogol in cui incappò il ministro Pd per il Mezzogiorno del suo secondo governo, Giuseppe Provenzano, che accusò Milano di “non restituire” risorse al Sud, salvo beccarsi le immediate rampogne del sindaco Giuseppe Sala che lo invitò a informarsi sulla quota di gettito tributario che il capoluogo lombardo versa ogni anno nelle casse dello Stato.

Ma Milano non è l’inciampo maggiore in cui Conte è incorso in questo periodo sfortunato ferragostano. Molto più politicamente grave la sua sortita sui talebani che ha giudicato “abbastanza distensivi” proprio nelle ore in cui sparavano sugli afghani in fuga e in disperata ricerca della libertà. Affermazioni a dir poco spericolate e affannosamente ridimensionate da cui perfino il ministro grillino degli Esteri, Luigi Di Maio, ha preso nettamente le distanze: “I talebani – ha puntualizzato il capo della Farnesina – dobbiamo giudicarli dalle loro azioni, non dalle parole, mantenendo una posizione ferma sul rispetto dei diritti umani e delle libertà”. Per una volta anche il Pd non ha fatto sconti all’ex premier per le sue avventate parole sui talebani, che la combattiva capogruppo del partito di Enrico Letta nella Commissione Esteri della Camera, Lia Quartapelle, ha definito semplicemente “un azzardo” perchè un conto è “interagire in queste ore con i talebani per portare in salvo con il ponte aereo chi rischia la vita” e un altro conto è “riconoscere il regime dei talebani” che deve ancora dimostrare di che pasta sia veramente fatto.

Insomma un avvio più infelice per Giuseppe Conte nel nuovo ruolo di presidente dei Cinque Stelle non poteva davvero esserci ma i suoi sfondoni sono una sorpresa solo per chi lo ha incredibilmente sopravvalutato quando era a Palazzo Chigi arrivando a considerarlo – Zingaretti dixit – “il punto di riferimento dello schieramento progressista in Italia”. La cartina al tornasole sulla consistenza politica di Conte è semplice: qualche volta avete sentito l’avvocato del popolo parlare del futuro del nostro Paese ed esprimere concetti chiari e concreti sull’Italia che verrà? Mai. E forse una ragione c’è.

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