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Conte 2, il programma M5s-Pd dimentica la crescita

Imagoeconomica

Nei 29 punti che delineano le linee programmatiche del nuovo governo 5 Stelle- PD c’è un grande assente: manca l’obiettivo prioritario di ridare slancio all’economia italiana, di uscire dopo vent’anni da una situazione di semi-stagnazione che fa sì che il reddito degli italiani sia ancora inferiore di almeno 5 punti a quello di prima della grande crisi del 2008 e pari a quello del 2000.

Il Conte Bis stenta a prendere atto del completo fallimento delle ricette del Conte-Uno basate sull’aumento della spesa pubblica in deficit per dare soldi agli italiani nella speranza di far aumentare la domanda interna e quindi il Pil. Per questa via si pensava di far rientrare anche l’aumento del deficit pubblico e tenere sotto controllo il debito. Ma la ricetta, come molti avevano previsto, non ha funzionato ed anzi ci lascia una pesante eredità di maggior debito e di clausole di salvaguardia da attivare per evitare di far deragliare il convoglio.

Al di là di una serie di buoni propositi contenuti nei 26 capitoli programmatici, la domanda alla quale non si dà nessuna risposta è: questi propositi saranno in grado di rimettere l’economia italiana su un sentiero di crescita? E cioè le politiche che 5 Stelle e PD hanno in mente sono veramente in grado di far ripartire la produzione, i consumi, e l’occupazione, oppure potranno nella migliore delle ipotesi evitare la catastrofe verso la quale ci stava spingendo la linea Salvini, senza però innescare una vera svolta?

Eppure, se si abbandonasse del tutto la facile ed ingannevole demagogia, ci sarebbe una buona occasione per girare definitivamente pagina e cominciare a costruire un’Italia del futuro più forte, più equa e più inclusiva. L’uscita di Salvini e dei sui stravaganti economisti dal Governo, ha fatto tornare la fiducia degli investitori sui nostri titoli pubblici e privati. Lo spread in pochi giorni è sceso di 70-80 punti ed altra strada potrebbe fare per collocarsi almeno vicino al livello della Spagna, e cioè ben sotto i 100 punti. Questo comporta non solo dei risparmi su quanto lo Stato deve pagare per interessi (dell’ordine di circa 3 miliardi per il prossimo anno) ma riduce il costo del credito per imprese e famiglie ed aiuta le banche che hanno in portafoglio una montagna di titoli di Stato.

Ma al di là dei calcoli numerici, quello che conta è che l’uscita di Salvini dal governo sta cambiando le aspettative degli investitori italiani ed internazionali sulle prospettive del nostro paese. Questo è dovuto all’abbandono da parte del Conte-Bis di qualsiasi velleità anti- Euro, ed anzi alla chiara intenzione di stare in Europa e riprende il posto che spetta ad un paese fondatore per partecipare attivamente al rilancio della UE in un momento molto delicato non solo economico, ma anche politico, visto il caos che sta provocando la Brexit. Basta stravaganti alleanze con la Russia di Putin, ma ritorno a buoni rapporti con Francia e Germania, sperando che Di Maio non faccia capricci dalla Farnesina.

Per consolidare questo atteggiamento di maggior favore con cui tutti ci guardano, occorrerebbe una legge finanziaria capace di dare una effettiva spinta agli investimenti pubblici e privati e di avviare quelle riforme strutturali che sono da tutti ritenute indispensabili per mantenere nel tempo un buon ritmo di incremento della produttività. La prima cosa da fare sarebbe quella di smettere di chiedere a Bruxelles “flessibilità” per ampliare il deficit. Bisogna spiegare agli italiani che non si tratta di soldi che ci vengono dati dalla UE ma di contrarre ulteriori debiti nostri che andrebbero ad accumularsi alla montagna di quelli che già abbiamo. Sarebbe meglio trattare a Bruxelles per il completamento dell’unione bancaria, per il rafforzamento dei piani di investimenti strategici, per una politica comune sul lavoro ecc. L’Europa intera se ne gioverebbe.

Sul fronte interno sarebbe ora di smetterla di porre come unico obiettivo della nostra prossima manovra la neutralizzazione dei previsti aumenti dell’Iva. È stato già dimostrato che rispetto ad aumenti di altre tasse (tipo patrimoniale) o a tagli di spese per il welfare o per gli investimenti pubblici, l’aumento dell’IVA avrebbe un impatto recessivo minore ed in una fase di bassissima inflazione, del tutto trascurabile. Senza considerare che in questo caso ci sarebbero le risorse per ridurre le tasse (o per dare contributi) ai ceti con redditi più bassi in modo da compensare le maggiori spese indotte dall’Iva. Se poi si dovesse rimodulare quota 100 che di fatto è stata un completo insuccesso, e rendere una po’ meno pasticciato il reddito di cittadinanza, avremmo non solo le risorse sufficienti per rilanciare gli investimenti pubblici, ma potremmo investire di più in ricerca ed istruzione che sono i veri punti deboli del nostro sistema.

Anche le politiche ambientali potrebbero dare impulso alla crescita solo se i 5 Stelle e Di Maio in particolare, capissero che non si tratta solo di dare incentivi o mettere nuove tasse a carico di chi inquina, ma di consentire investimenti importanti nell’economia circolare a cui servono impianti di riciclo ed inceneritori che sono visti con sospetto da tanti grillini.

Se il governo vorrà davvero durare fino alla fine della legislatura dovrà cambiare paradigma sull’economia: puntare sulle imprese e sul loro sviluppo, migliorare le prospettive di crescita dei salari non con regali, ma con politiche adatte a stimolare la produttività, migliorare il funzionamento della burocrazia e della Giustizia, mantenendo in ordine i conti della Stato e sotto controllo il debito. Bisogna finirla con la politica dei regali e dei sussidi. Coltivare la fiducia sulle prospettive del nostro paese, che ha tante potenzialità inespresse sia materiali che umane, sarebbe la scelta politica che potrebbe portare a quel vero cambio di passo che i cittadini attendono da molti anni.

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