Vinto il Giro, Alberto Contador sta già pensando alla maglia gialla dopo aver messo in valigia quella rosa che ha indossato dalla tappa dell’Abetone fino al trionfo finale di ieri a Milano – con la sola parentesi di Jesolo quando per una caduta l’ha ceduta per un giorno ad Aru.
Il ciclismo vive di imprese e la doppietta Giro-Tour è quella che stuzzica il Pistolero, una sfida affascinante meditata da tempo anche per recuperare quanto gli è stato tolto dalla squalifica per doping (il Tour 2010 e il Giro 2011) e dalla sfortuna (la caduta nella Grande Boucle dell’anno scorso, che l’ha costretto al ritiro). Obiettivo ambizioso e legittimo per un campione come lo spagnolo, ma non facile da realizzare, anche perché in Francia l’attendono Nibali, Froome e Quintana che hanno disertato il Giro proprio per prepararsi per il Tour. Contador, rispetto ai suoi rivali, arriverà con gli oltre 3.300 km della corsa rosa nelle gambe, ma anche con l’entusiasmo del secondo successo al Giro.
Una sfida stellare in vista della quale il Pistolero farà bene a rimediare in qualche modo alla fragilità manifestata al Giro dalla sua squadra, la Tinkoff-Saxo che sulle strade italiane lo ha lasciato il più delle volte isolato tra tanti Astana. Contador se l’è sempre cavata da solo, superando lo choc della dolorosa caduta di Castiglione della Pescaia e dando lezioni di ciclismo sul Mortirolo e nella crono di Valdobbiadene, ma è bastata una defaillance sul Colle delle Finestre per capire i rischi della solitudine. Bravo è stato Contador, nella tappa del Sestrière, a svestire i panni del dominus predatore della corsa per indossare quelli più umili del dosatore di energie per evitare una cotta, il classico “homme au marteau” dei francesi, che avrebbe potuto fargli perdere il primato. Ha perso la tappa che voleva vincere, ma non il Giro. Non ce l’ha fatta, messo alle corde da uno straordinario Fabio Aru e anche da un sorprendente Mikel Landa. Così da ieri, dopo l’ultima tappa vinta dal belga Iljo Kessie sull’australiano Durbridge, Contador deve condividere un record del tutto particolare con Franco Balmamion: quello di esser gli unici due corridori ad aver vinto due Giri senza mai vincere una tappa.
Due tappe, quelle più dure e spettacolari delle Alpi, una in fila all’altra, le ha vinte invece Fabio Aru con il piglio del giovane fuoriclasse, grinta ed esuberanza che fanno del corridore sardo la più bella realtà del ciclismo italiano, naturale erede di Vincenzo Nibali per le grandi corse a tappe. Terzo l’anno scorso con una vittoria di potenza a Montecampione, secondo quest’anno davanti al compagno Landa, un basco che in salita è sembrato più forte dello stesso Contador: Aru ha entusiasmato le folle per il suo modo di correre e per la capacità e la determinazione con cui ha reagito dopo le giornate difficili della crono e dell’Aprica. A differenza di Contador, Aru disponeva di una formidabile squadra, un’autentica corazzata con eccellenze individuali tali da far emergere all’interno quasi un pericoloso conflitto di interessi tra lui e Landa, dominatore delle due tappe dolomitiche, che ha talvolta finito per agevolare lo stesso Contador. Che a sua volta deve ringraziare gli exploit dei due Astana perché danno senso e valore al suo successo visto il dileguarsi anzi tempo degli altri due favoriti della vigilia: Richie Porte si è ritirato anzitempo confermando che Giro e Tour sono competizioni troppo lunghe e faticose per il suo fisico; quanto a Rigoberto Uran, il colombiano ha tenuto duro fino a Milano, ma tranne i due terzi posti nelle tappe vinte da Aru c’è poco da ricordare del suo Giro concluso al 14esimo posto dopo due secondi posti nel 2013 dietro a Nibali e l’anno scorso dietro a Nairo Quintana.