E’ illegittima, in quanto incostituzionale, la proroga fino al 2020 del contributo di 750 milioni l’anno imposto alle Regioni ordinarie dalla legge di Bilancio del 2017 (e valevole anche per il bilancio triennale 2017-2019) per sostenere la spesa pubblica. Lo ha deciso la Corte Costituzionale con la sentenza n.103, depositata oggi mercoledì 23 maggio, che farà piacere agli enti locali ma aprirà un nuovo buco sulla spesa pubblica, che quel contributo chiesto andava a coprire.
La censura di incostituzionalità riguarda precisamente l’articolo 1, comma 527, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), là dove prevede appunto l’estensione al 2020 del contributo di 750 milioni a carico delle Regioni ordinarie (già previsto dal primo periodo dell’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66). Secondo la Corte, la disposizione censurata è in contrasto con il canone della transitorietà che deve caratterizzare le singole misure di finanza pubblica impositive di risparmi di spesa alle Regioni.
Il pronunciamento è arrivato dopo l’impugnazione della Regione Veneto, avvenuta dopo che lo Stato aveva, per la terza volta e quindi con una regolarità ormai continuativa, esteso di un anno l’ambito temporale di operatività di una manovra economica in origine limitata al triennio 2015-2017, fino a giungere, con la disposizione ora dichiarata incostituzionale, a raddoppiarne la durata inizialmente prevista.
La sentenza non esclude che sia lecito imporre alle Regioni risparmi anche di lungo periodo ma ribadisce che le singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare il carattere della temporaneità e richiedono che lo Stato definisca di volta in volta, secondo le ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro organico delle relazioni finanziarie con le Regioni e gli enti locali, per non sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici delle singole manovre di finanza pubblica.
La Corte ha colto l’occasione per evidenziare che l’imposizione alle Regioni a statuto ordinario di contributi alla finanza pubblica incide inevitabilmente sul livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, sicché lo Stato, in una prospettiva di lungo periodo, dovrà scongiurare il rischio dell’impossibilità di assicurare il rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza in materia sanitaria e di garanzia del diritto alla salute. Tale rischio dovrà essere evitato, eventualmente, mediante il reperimento di risorse in ambiti diversi da quelli riguardanti la spesa regionale.
La Corte ha dunque auspicato che un simile risultato venga scongiurato in futuro, evitando il perpetuarsi dello stallo nelle trattative, anche attraverso una provvisoria determinazione unilaterale, da parte dello Stato, del riparto pro quotatra le autonomie speciali del contributo loro imposto, fino alla stipula dei pur sempre necessari accordi bilaterali.