In caso di licenziamento illegittimo, i giudici devono poter decidere di volta in volta a quale risarcimento ha diritto il lavoratore. Limitazioni alla loro discrezionalità non sono ammissibili. La Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza con la quale ha bocciato una delle norme più controverse del Jobs Act, ripresa nel Decreto Dignità: quella che, in caso di interruzione non giustificata di un contratto a tutele crescenti da parte dell’azienda, prevedeva un meccanismo di calcolo fisso per determinare il risarcimento in favore del lavoratore danneggiato.
Attenzione: la Consulta non si è espressa sull’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori – che rimane un ricordo, insieme alla possibilità di reintegro in caso di licenziamenti per motivi disciplinari o economici poi riconosciuti come illegittimi – ma solo su un punto particolare della nuova normativa. Quello che imponeva ai magistrati un regola rigida per quantificare l’indennizzo, cioè due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio del lavoratore licenziato, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità (limiti poi alzati a 6 e 36 mesi dal decreto Dignità dello scorso luglio).
Nel rispetto dei limiti minimi e massimi fissati dalla legge, secondo la Corte Costituzionale, il giudice deve determinare liberamente l’importo, tenendo in considerazione aspetti come il numero dei dipendenti dell’azienda, le dimensioni dell’attività economica e il comportamento delle parti. L’anzianità di servizio – è il ragionamento – non può essere l’unico criterio, altrimenti si rischia di mettere sullo stesso piano senza motivo situazioni diverse, violando così il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
Non solo. La Consulta individua anche un secondo profilo di incostituzionalità, ritenendo che predeterminare un’indennità minima bassa per i lavoratori con poca anzianità aziendale contrasti con il principio di ragionevolezza, in quanto un indennizzo così calcolato non sarebbe sufficiente a risarcire il danno. Peraltro, dal punto di vista del datore di lavoro, la prospettiva di dover pagare un indennizzo esiguo non funziona come deterrente, nel senso che non è abbastanza per dissuadere chi abbia intenzione di licenziare i propri dipendenti senza giusta causa.
La decisione della Corte, come sempre è retroattiva, e avrà dunque un impatto significativo perché tutti i giudizi non ancora conclusi si dovranno conformare alla nuova regola. Non è detto che l’uguaglianza aumenti, perché in teoria la discrezionalità concessa ai giudici potrebbe portare a risarcimenti diversi in situazioni molto simili. Inoltre, la decisione
Quanto agli effetti sul mercato del lavoro, la questione è controversa. Alcuni ritengono che questa novità – insieme all’irrigidimento normativo imposto dal decreto Dignità – rischi di causare un aumento dei contratti a termine o persino di incidere negativamente sull’occupazione. Altri invece sostengono che l’intervento della Consulta sia opportuno, perché è difficile parlare di contratto stabile se l’azienda può risolverlo a basso costo senza giusta causa. Ma proprio la quantificazione dei costi diventa ora più discrezionale e non è detto che ciò vada in ogni caso a favore del dipendente.