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CONGIUNTURA REF – Se un economista tornasse dalla luna, faticherebbe a capire

Se un economista tornasse dopo un soggiorno di due anni sulla luna, ignaro delle vicende degli ultimi anni, e volesse farsi un’idea di quello che sta accadendo nella zona dell’euro, potrebbe farsi opinioni molto diverse a seconda dei dati con cui dovesse imbattersi. Guardando al rally delle borse degli ultimi mesi, o all’andamento del clima di fiducia dei consumatori, sarebbe portato a concluderne che sta per avere inizio una brillante ripresa, superamento definitivo della lunga crisi che abbiamo attraversato. Guardando ai tassi a lunga e ai dati sull’infl azione, sarebbe indotto a ritenere che l’eurozona sta per piombare in una tragica spirale deflazionistica.

E’ questa la sintesi di una situazione grave che ha innescato una reazione, tardiva ma decisa, da parte della politica monetaria europea. Se la strategia avrà successo lo scopriremo solamente fra qualche trimestre; per ora il Qe della Bce porta i tassi ai minimi e sostiene le borse, e può realisticamente produrre qualche effetto sull’economia reale, anche perché coadiuvato dal “deus ex-machina” del 2015: la caduta del prezzo del petrolio. Non mancano i rischi. In particolare, la congiuntura mondiale mostra andamenti molto divaricati, con i paesi emergenti in decelerazione, a fronte delle indicazioni di miglioramento del ciclo nelle economie avanzate.

Le differenze nei tassi di crescita si accostano a ampie oscillazioni dei cambi e questo concorre a modifi care l’orientamento dei fl ussi commerciali internazionali. Le incertezze rifl ettono soprattutto il cambiamento della politica monetaria americana. Man mano che ci si avvicina al percorso di aumento dei tassi d’interesse, emergono incertezze in relazione alle conseguenze che ciò comporterebbe per i mercati finanziari.

L’aspetto più controverso è costituito dalla valutazione delle condizioni cicliche dell’economia Usa e dalla coerenza rispetto ad esse della stance della politica monetaria. Il dibattito è fra quanti sostengono che con una disoccupazione vicina al 5 per cento si va verso un biennio di continui aumenti dei tassi d’interesse americani, e quanti scommettono su un approccio molto graduale.  Per ora i tassi Usa sono ancora a zero, ma la fuga dei capitali dai paesi emergenti verso il dollaro basta per renderci l’idea degli sconquassi che deriverebbero da un cambiamento deciso nella politica della Fed. In un contesto di questo tipo, le tendenze dei singoli paesi dell’eurozona, come l’Italia, appaiono come barche trasportate dalle onde in un mare in tempesta: per ora sembra che abbiamo preso l’onda buona, e ci voleva.

Siamo il paese le cui finanze pubbliche beneficiano più di altre della discesa dei tassi (dato il livello più elevato del debito pubblico); fra caduta dei rendimenti sul benchmark tedesco e chiusura dello spread, i decennali italiani da metà 2012 sono letteralmente crollati. Aggiungendo a ciò l’effetto della discesa del prezzo del petrolio, in altri momenti avremmo detto che questo può bastare a innescare un ciclo robusto della domanda interna.

Questa volta l’intensità del recupero dovrà essere verifi cata: rifl etterà la trasmissione dei tassi d’interesse più bassi alla domanda aggregata via canale del credito, e la comprensibile prudenza dei consumatori, che non è detto tradurranno immediatamente l’aumento di potere d’acquisto in maggiori consumi. Da prendere con una certa cautela gli entusiasmi sull’export, sia per la cattiva congiuntura dei paesi emergenti, sia perché il guadagno di competitività per le nostre esportazioni è inferiore rispetto a quanto si potrebbe presumere in base all’andamento del tasso di cambio dollaro euro. Lo scenario descritto condiziona il quadro di fi nanza pubblica.

L’effetto della discesa dei tassi d’interesse libera risorse, ma potrebbe non bastare per farci centrare gli obiettivi senza ulteriori interventi, già dal 2016. Il punto è che l’incertezza è relativa al conseguimento del pareggio fra qualche anno, ma se si astrae dagli obiettivi indicati dalle autorità europee, anche gli scenari più prudenti evidenziano una situazione della fi nanza pubblica italiana del tutto sotto controllo, con livelli del deficit comunque molto bassi. Ecco allora che, a ben vedere, il compito della politica economica italiana per i prossimi mesi non sta tanto nell’attuare le misure idonee a garantire gli obiettivi, ma piuttosto nel trovare il modo per non attuarle. Si tratta cioè di lasciare che questi primi timidi germogli di ripresa attecchiscano senza ulteriori pressioni al ribasso sulla domanda legate a nuove misure di risanamento della fi nanza pubblica.

Previsioni in sintesi. In pochi mesi il quadro economico internazionale è cambiato. Sono scese le quotazioni del petrolio; si avvicina l’inversione della politica monetaria Usa; molte valute sono crollate rispetto al dollaro; gli indicatori congiunturali mostrano una fase di crescita delle economie avanzate, ma rimangono molti problemi nelle economie emergenti. La svolta della Bce, con la conseguente discesa dei tassi d’interesse e il rafforzamento del dollaro sull’euro, insieme alla caduta del prezzo del petrolio, determina le premesse per un miglioramento della congiuntura europea.

Per ora i segnali di recupero sono più evidenti in alcuni paesi, come Germania o Spagna, che in altri, come Francia e Italia. L’economia italiana a fine 2014 si è limitata a ristagnare, mentre a inizio 2015 avrebbe registrato una crescita modesta. Possibile un rafforzamento in corso d’anno, tale da consentirci una variazione del Pil dello 0.7 per cento quest’anno e dell’1.1 il prossimo. Occorre sfruttare le opportunità che derivano da un quadro internazionale più favorevole. Il compito della politica di bilancio è evitare nuove misure di correzione dei conti, anche al prezzo di una deviazione rispetto al percorso di costante riduzione del deficit concordato con le autorità europee.

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