C’è tutto il gotha confindustriale presente all’Assemblea generale di Confindustria Vicenza, una delle realtà provinciali più importanti della geografia manifatturiera italiana. Oltre 1.400 imprenditori sono intervenuti lo scorso venerdì nella sede della Vibo di Trissino, azienda vicentina che produce design per cucine e arredi. Sul palco con la sempre combattiva presidente Laura Dalla Vecchia, il vicepremier Antonio Tajani, ministro degli Affari Esteri, Emanuele Orsini il nuovo presidente nazionale di Confindustria, il presidente di Nomisma Energia Davide Tabarelli e in collegamento dal G7 di Matera Emma Marcegaglia.
Le critiche alle politiche green dell’Unione Europea
«La nostra forza è l’industria, se l’Italia presiede il G7 è perché è la seconda manifattura d’Europa e non per le sue le stazioni balneari», ha detto Laura Dalla Vecchia. Il confronto tra il peso dell’industria, dal punto di vista strategico, rispetto alle eccellenze del turismo è da tempo uno dei caveat che gli industriali pongono sul piano della discussione con il governo. Ma è l’attacco diretto all’Unione Europea a fare da portata principale in questa assemblea confindustriale berica: le politiche green e troppo radicali di Bruxelles stanno mettendo ko l’industria italiana e anche quella tedesca, storica “architrave terzista” della manifattura nordestina legata a doppio filo ai destini dell’automotive continentale.
«Tutti sono d’accordo sul fatto che l’impatto ambientale vada ridotto, ma la spinta ottusa ed estremista verso le rinnovabili e le auto elettriche si giustifica solo con l’ideologia. Quando non nasconde una volontà di imporre modelli di business spinti da qualche lobby, del Far East o del continente americano». E ancora – ha rimarcato la presidente di Confindustria Vicenza – rispetto alle “ideologiche” impostazioni green della Commissione Europea: «(una rivoluzione) scaricata sulle aziende della concia, legno, gomma e alimentare che impone obblighi di tracciabilità volti a impedire il commercio di materie prime proveniente da aree a rischio di deforestazione. Se decarbonizzazione diventa deindustrializzazione siamo finiti».
La necessità di una politica industriale flessibile e pragmatica
Sul bilanciamento tra obiettivi della transizione ecologica e sostegno alle imprese è intervenuto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che – va ricordato – dal 2010 al 2014 è stato anche Commissario europeo per l’industria: «Contro il cambiamento climatico siamo tutti impegnati ma bisogna tenere conto delle difficoltà delle imprese di raggiungere gli obiettivi in tempi troppo brevi. L’Italia è la quarta potenza commerciale mondiale: l’Europa deve avere una politica industriale flessibile e una politica ambientale pragmatica e non ideologica. Credo che con la nuova Commissione le cose cambieranno».
Sulla stessa lunghezza d’onda, in difesa delle aziende rispetto al rigidismo ideologico dell’Unione Europa, si è posto anche l’atteso intervento di Emanuele Orsini: «L’Europa emette il 7% dell’anidride carbonica del mondo, avendo un Pil del 15%, dunque forse i compiti a casa deve farli qualcun altro. Serve mettere al centro la neutralità tecnologica, ma non vuol dire mettere lo stop ai motori endotermici al 2035. Quello di cui c’è bisogno è di incrementare la produttività, a partire dalla rete delle infrastrutture logistiche e dalla certezza del diritto».
Il rischio di deindustrializzazione e le ambizioni politiche globali
Una debolezza quella di un’Europa a rischio deindustrializzazione che metterebbe un colpo ferale anche alle ambizioni politiche globali dell’Unione, come ricordato dall’intervento di Emma Marcegaglia: «Dobbiamo difendere i valori delle democrazie occidentali, ma se continuiamo a perdere competitività non saremo in grado nemmeno di difendere i nostri modelli, e vinceranno i Paesi dove non c’è la democrazia ma c’è la competitività. Il rischio è che l’Europa diventi una pedina schiacciata tra Cina e Stati Uniti».
Cosa è emerso in definitiva dall’Assemblea 2024 di Vicenza? Se la nuova Commissione Europea, che si sta approntando ad iniziare il suo mandato con non poche difficoltà in termini di spartizione delle deleghe tra le diverse famiglie politiche europee, non troverà un nuovo modo di ridisegnare l’intensità e l’agenda della transizione ecologica, il rischio di uno strappo totale con il mondo dell’industria è quasi certo.