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Confindustria rivede le stime di crescita: solo +0,8% nel 2024 e +0,9% nel 2025. Freno da industria e investimenti

Imagoeconomica

Confindustria prevede un futuro tutt’altro che roseo per l’economia italiana, rivedendo al ribasso le stime di crescita per il 2024 e il 2025. Nel suo Rapporto di previsione autunnale, presentato alla Camera, si stima che il nostro Paese chiuderà il 2024 con un incremento dell’0,8%, un decimo in meno rispetto alle previsioni della scorsa primavera. Questo dato, pur essendo in linea con l’ultima analisi della Banca d’Italia, è ben lontano dall’1% previsto dal governo, cifra che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti considerava realistica solo pochi giorni fa. Tale riduzione potrebbe avere ripercussioni negative sulla Manovra, attualmente in fase di approvazione.

La correzione delle stime di Confindustria tiene conto delle recenti revisioni delle serie storiche dell’Istat, che hanno ridotto la crescita acquisita per la prima metà dell’anno a un modesto +0,4%. Per quanto riguarda il 2025, le prospettive si fanno ancora più pessimistiche: si prevede una crescita dello 0,9%, due decimi sotto le stime precedenti e tre in meno rispetto a quelle governative.

Un contesto internazionale di moderata espansione

Nonostante il contesto internazionale mostri segni di moderata espansione, con gli Stati Uniti in crescita del 2,3% e l’Eurozona che si attesta a 0,7%, l’Italia si trova a dover affrontare un contesto piuttosto sfidante. La produzione industriale ha chiuso il terzo trimestre con un calo dello 0,5%, un dato preoccupante che evidenzia le difficoltà economiche del Paese. A pesare come un macigno sulle aspettative è la crisi del settore automobilistico, in particolare con Stellantis che non brilla per performance e che, di conseguenza, trascina con sé una fetta significativa dell’industria italiana. Inoltre, sia gli investimenti che i consumi delle famiglie nell’Unione europea stanno vivendo una forte contrazione, principalmente a causa dei tassi d’interesse elevati. Gli indici di fiducia delle imprese, già in zona recessiva da ben 19 mesi, hanno toccato il punto più basso da oltre quattro anni, segnalando un clima di incertezza. Si prevede che una ripresa della fiducia possa avvenire solo nella seconda metà del 2025, quando la politica monetaria dovrebbe finalmente tornare a una fase più accomodante. Per non parlare delle sfide legate alla demografia, alla mobilità della manodopera e ai costi abitativi.

Freno agli investimenti e settore industriale in difficoltà

Il rapporto mette in evidenza che il settore industriale continua ad arrancare, con una produzione in calo dello 0,5% nel terzo trimestre. Il freno agli investimenti è palpabile, con una crescita quasi azzerata (+0,5%) dopo un triennio di corsa. Nonostante fattori esterni come la riduzione dei tassi da parte della Bce e la ripresa del commercio internazionale avrebbero potuto sostenere l’economia italiana, la fine dei bonus edilizi – solo parzialmente compensato dai progetti del Pnrr – ha impattato negativamente il settore. La burocrazia, intanto, sembra complicare ulteriormente le cose, con gli sgravi legati all’Industria 5.0 che faticano a decollare. Per il 2024, si prevede una contrazione degli investimenti dell’1,3%, con un drammatico -15% nel settore abitativo, riportando i valori ai livelli del 2008.

Auto in crisi; servizi e consumi: una luce in fondo al tunnel?

Il settore automotive, un pilastro dell’economia, si trova in una crisi profonda, con una produzione tornata ai livelli del 2013. Questo non è solo un problema temporaneo: i cambiamenti nelle abitudini d’acquisto e l’aumento dei costi per le auto elettriche mettono a rischio la crescita economica a breve e lungo termine. La produzione nazionale di vetture continua a scendere a doppia cifra, un segnale preoccupante per un settore che rappresenta 15 miliardi di euro in valore aggiunto e 170mila occupati.

In questo mare di incertezze, il settore dei servizi potrebbe mostrarsi più resiliente, grazie a una moderata inflazione e a condizioni migliori di accesso al credito al consumo. Tuttavia, la spesa delle famiglie stenta a decollare, con un modesto aumento previsto dello 0,2% a trimestre, mentre la propensione al risparmio supera il 10%, ben al di sopra della media pre-Covid.

Aumentare l’immigrazione per contrastare il calo demografico

Occupazione e crescita si muovono in parallelo, ma ci sono delle nubi all’orizzonte. Si prevede un aumento del numero di addetti, ma il declino demografico rappresenta una minaccia seria. Nei prossimi cinque anni, si prevede una diminuzione della forza lavoro di 520.000 unità, mentre la crescita richiederà 815.000 posti di lavoro aggiuntivi. Ciò significa che il mismatch – il divario tra domanda e offerta di lavoro – potrebbe aumentare di 1,3 milioni di unità. Già nel 2023, il 26% delle posizioni lavorative risulta di difficile reperimento.

Confindustria sottolinea che non basta aumentare il tasso di occupazione; anche un incremento del 2% non basterebbe a colmare il divario, rendendo necessario un incremento degli ingressi di lavoratori stranieri di almeno 120mila unità all’anno.

Problemi di mobilità e costi abitativi

A aggravare la situazione è la mancanza di alloggi a prezzi accessibili, che influisce sulla mobilità dei lavoratori. Milano, Bologna, Firenze e Roma vedono un gap significativo tra costi di affitto e produttività, creando difficoltà nelle aree con maggiore richiesta di lavoro. A questo proposito, Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, ha chiesto interventi governativi, suggerendo che la legge di Bilancio dovrebbe prevedere detassazioni sui contributi affitto offerti dalle aziende ai nuovi assunti. Potrebbe essere un modo per rendere più appetibili le opportunità di lavoro in queste zone, dove il costo della vita sembra avere un effetto dissuasivo.

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Categories: Economia e Imprese