Giovedì in Confindustria i due candidati, Alberto Vacchi e Vincenzo Boccia, offriranno la loro proposta programmatica al Consiglio generale riunito per una valutazione che sarà poi decisiva per il voto formale di investitura. Sul terreno sono rimasti Aurelio Regina con il solo sostegno del Lazio e Marco Bonometti, partito da Brescia e rimasto a Brescia. Nessuno dei due, quindi, potrà rimettersi in pista in qualche modo promettendo consensi significativi ai due finalisti, tali da poter determinare il quorum della nomina.
Saranno quindi i programmi e le proposte di un effettivo rinnovamento a coagulare il consenso e a favorire una ricucitura della organizzazione, messa a dura prova da una procedura di selezione divisiva e non competitiva. I tre saggi hanno potuto contare con ampio margine di certezza le rispettive forze dei concorrenti e, senza tanta fatica, arrivare alle due sole candidature. Soltanto Marco Bonometti se ne è andato sbattendo la porta e lanciando ai colleghi di corsa la più infamante delle accuse per un imprenditore: quella di essere un professionista della Confindustria.
I programmi dunque misureranno lo spessore e la credibilità dei due unitamente alla volontà di saperli portare a termine. In primo luogo dovranno misurarsi con le regole della riforma Pesenti. Vanno riviste drasticamente quelle relative alla elezione presidenziale, come quelle che impongono la panchina lunga delle vicepresidenze e delle deleghe ad incarichi speciali. Ci sono anche quelle relative alle strutture regionali: in molti casi più simili a delle periodiche tavolate di presidenti e di direttori, senza effettivi poteri e senza una forte e credibile capacità di confronto con le Regioni.
Infine andrà affrontata la questione della rappresentanza dell’imprenditoria edile, forte soprattutto nelle associazioni del Mezzogiorno: una realtà che guarda per forza di cose e di interessi più agli interlocutori politici locali che non al mercato. Per questo vanno inquadrati in autonomi Collegi edili, in collegamento associativo e non in una strutturata adesione che in molte provincie determina gli equilibri, le iniziative ed i vertici delle realtà territoriali.
Sul territorio la riforma in atto delle Camere di Commercio e, in generale, quella elettorale riposizionano le tradizionali alleanze locali con le categorie economiche, sindacali e professionali obbligando l’abbandono delle liturgie consociative in materia di lavoro, di previdenza e di credito con le profittevoli convenienze consociative che hanno caratterizzato a lungo la produzione legislativa. La ripresa della storica collaborazione con le associazioni artigiane può riportare l’economia alla guida del sistema camerale (non basta avere il presidente!) per troppo tempo in mano alla compensazione politica o alla spartizione corporativa di poltrone e di prebende.
Vi è poi la questione internazionale, il sostegno ai processi esportativi, la spinta all’allargamento della base produttiva del Paese non solo con una maggior presenza all’estero ma con i capitali esteri attratti, per investimento, in Italia. Dentro ci sta la presenza a Bruxelles dove gli uffici confederali della Joyeuse Entrée non sono ap parsi forti nell’azione di lobby in difesa dei marchi e del made in Italy. La positiva esperienza delle missioni di sistema non va sepolta ma rinnovata nella sua efficacia di consolidamento dei mercati.
Infine le due questioni più delicate ma di altrettanta urgenza. La Luiss, l’Università che tra alti e bassi non riesce a decollare come un’assoluta eccellenza didattica e per la specificità di indirizzo formativo. Troppo spesso Confindustria ha dovuto assecondare la distribuzione di cattedre e di ermellini. Infine l’editrice del Sole 24 Ore. In questo caso la presidenza ha una responsabilità prioritaria nella scelta strategica cui sarà chiamata. Debiti, rilancio, qualità del giornale, corrispondenze estere e alleanze saranno in agenda da subito per misurare la capacità strategica del nuovo vertice di viale dell’Astronomia.