Mancano pochi giorni al 63esimo anniversario: era il 16 luglio del 1950 quando il Brasile visse uno dei più grandi drammi sportivi (ma non solo) della sua storia, perdendo il Mondiale in casa contro l’Uruguay, nello stesso stadio Maracanà che ospita stasera una semifinale di Confederations Cup che sa di rivincita e soprattutto di antipasto per la prossima Coppa del Mondo, che stavolta i verdeoro non vorranno mancare di portare a casa scacciando gli incubi di quell’1-2 contro Schiaffino e compagni.
Il Maracanazo fu chiamata quella leggendaria impresa dalle parti di Montevideo e nota in tutto il mondo per le conseguenze quasi tragiche che ebbe fra la popolazione, tra depressione, minacce ai giocatori, persino suicidi e un clima da funerale che oggi, di fronte al reale problema delle sommosse popolari, appare alquanto anacronistico. Così come impensabile sarà la ripetizione di quello scenario, non solo perchè stavolta, a differenza di allora, l’inno uruguayo verrà sportivamente suonato e applaudito, ma soprattutto perchè obiettivamente le chance che la nazionale “charrùa” ripeta quell’impresa sono parecchio ridotte.
Ci proveranno in ogni caso, Cavani e compagni, anche se il vero appuntamento, quello più temuto dai padroni di casa, è tra un anno sempre in questo mitico stadio: la Celeste però non è ancora sicura di esserci, deve qualificarsi e la sua posizione nel girone sudamericano, compromessa fino a un mese fa, è ora comunque molto delicata. Qualora non dovesse farcela, non ci sarà alcun Maracanazo-bis, ma neanche la possibilità per gli orgogliosi brasiliani di cancellare quell’onta. Un concetto, quello dell’onta, che nel calcio moderno, per di più in un momento di tensioni sociali come questo, non esiste quasi più. Ecco perchè stasera a Rio de Janeiro, nonostante tutto, sarà solo una partita di calcio.