Alla fine dei dieci giorni che sconvolsero il Bel Paese, l’Italia ha finalmente un premier eccellente e un ottimo governo. Dall’allarme Italia del mercoledì nero della Borsa e dei Btp del 9 novembre alla nascita del governo Monti è successo di tutto, ma non si può dire che ci sia andata male. Anzi. Una volta era lo stellone a proteggerci, ora dobbiamo un monumento a san Giorgio Napolitano. E’ vero che il Governo è atteso alla prova dei fatti, ma le intenzioni e le persone sono il meglio che si potesse trovare.
Non fosse per i rischi che corrono i nostri posti di lavoro, i nostri stipendi, le nostre pensioni, i nostri risparmi, le nostre aziende e – perché non dirlo? – la nostra stessa democrazia, questo sarebbe un periodo leggendario. Da ottant’anni non si vedeva una crisi così intensa e drammatica ma anche così fulminea e imprevedibile. Annoiarsi è difficile. Gli economisti hanno studiato per una vita la crisi del ’29 e ironizzato sui tragici errori di allora, ma adesso che vivono la crisi in diretta guardano con sgomento all’incalzante succedersi dei fatti e non sanno pronosticare quanto la crisi realmente durerà: sette anni o settanta? Nel frattempo dovranno riscrivere i manuali e spiegare se e come sia possibile coniugare debito e crescita. Con il piombo del debito pubblico nelle ali è difficile che un’economia cresca, ma abbattere il debito senza crescere è una scommessa al limite dell’impossibile. L’idea che bisognerà rassegnarsi a riaprire un po’ il rubinetto dell’inflazione rischia di divenire ineludibile, ma è un’arma a doppio taglio che occorrerà maneggiare con giudizio. Con molto giudizio.
Per tornare a noi, è sconvolgente il cambio di scenario che abbiamo vissuto negli ultimi dieci giorni e l’importanza del miracolo maturato sul Colle. Eravamo gli ultimi della classe con una credibilità ridotta in briciole e sono bastate poche mosse e poche ore per ribaltare la situazione. Se la politica non farà scherzi e capirà l’importanza di fare un passo indietro lasciando che i tecnici le tolgano le castagne dal fuoco, non è presunzione dire che oggi l’Italia può schierare la miglior squadra d’Europa. Chi ha un premier stimato come Monti, chi ha un capo dello Stato del prestigio di Napolitano e chi ha dato alla Bce un presidente del valore di Draghi? Tre persone che tutto il mondo ci invidia e che lustrano la nostra immagine coprendo le nostre debolezze. Diciamo che oggi abbiamo finalmente le munizioni per combattere, con qualche speranza di successo, la sfida più drammatica della nostra epoca sulla frontiera più avanzata della battaglia per la salvezza dell’euro e dell’Europa.
Tutto il mondo ci guarda e noi ce la metteremo tutta, ma è un po’ come puntare allo scudetto cominciando il campionato con una penalità di almeno 10 punti: schierare la miglior squadra d’Europa non basta. Abbiamo il terzo più grande debito del mondo e veniamo da quindici anni di stagnazione e di riduzione del reddito pro-capite: ce la faremo a rimontare e a riconquistare la fiducia dei mercati? Adesso la credibilità internazionale ce l’abbiamo, ma servono i fatti, sia in casa che fuori. Se quel che conta è convincere gli investitori di tutto il mondo che hanno in mano quasi la metà del nostro debito pubblico che l’Italia ce la farà contano poco i fondamentali. Dobbiamo, riuscire a ridurre il debito stimolando la crescita e dobbiamo farlo subito. Riuscirci sarebbe un miracolo e per fortuna qualche volta i miracoli succedono, ma il dramma è che di miracoli ne servono due. Mettere ordine in casa propria è importante, ma poi resta da domare il mostro del rischio sovrano.
Grazie al cielo di SuperMario ne abbiamo due: Monti e Draghi. Le turbolenze delle Borse e dell’euro, dei titoli di Stato e dei loro spread finiranno quando i mercati si convinceranno che il debito di tutti i Paesi di Eurolandia è in sicurezza, ma la battaglia contro il rischio sovrano non si vince in un solo Paese. Ci vuole più Europa e ci vorrebbero soprattutto la metamorfosi della Bce in Fed e la garanzia della nostra banca centrale sui debiti sovrani di tutti i Paesi membri con mezzi illimitati, procurati stampando moneta, se è necessario. Monti dice che “L’Europa siamo noi”. Ha ragione, ma chi li convince i tedeschi? Lui è già all’opera e il suo incontro di giovedì prossimo all’Eliseo con Sarkozy e Merkel è un buon viatico , ma anche l’altro SuperMario deve andare in gol: a Francoforte.