I tempi delle statistiche congiunturali sono in ritardo rispetto alla conta dei contagi, e la devastante impennata del Covid-19 in America si rifletterà con ritardo nei dati economici, a parte qualche monitoraggio basato sui Big Data. Ma fino a novembre gli indicatori qualitativi tenevano in America meglio che in Europa, dove le incursioni del virus stanno rallentando.
Quando si scriverà la storia di questa crisi, la parte del “super-eroe” spetterà senz’altro alle politiche economiche. Se le vendite al dettaglio, in America, in Europa e in Italia, sono tornate ben sopra il livello pre-virus, questo è dovuto al massiccio supporto – di bilancio e monetario – fornito da Governi e Banche centrali. Un supporto che dovrà continuare e continuerà, dato che le restrizioni in corso sulle due sponde dell’Atlantico mineranno ancora una volta redditi e spesa.
Fortunatamente, l’altra metà del cielo tiene. L’Asia Development Bank ha migliorato le stime di crescita del continente, nel 2020 e nel 2021. E quella metà del cielo è più della metà: il PIL asiatico è ormai più grande del PIL del resto del mondo e cresce più rapidamente. E, sempre fortunatamente, i soccorsi stanno arrivando su ambedue le metà: l’Inghilterra è stata la prima a cominciare la vaccinazione e altri Paesi l’hanno seguita a ruota o stanno per seguirla. Certamente, la sfida, medica, logistica e culturale (no-vax!) fa paura, e ci vorranno molti mesi prima che una parte significativa della popolazione sia protetta dal Sars-CoV-19. Ma la luce in fondo al tunnel c’è.
I dati più tempestivi (novembre) sugli indici PMI segnalano, specie per i servizi, una netta divaricazione fra Stati Uniti ed Europa: una crescita continua in America e una ricaduta recessiva nell’Eurozona. Certamente, anche l’America sarà presto in ritirata nei servizi: nei primi 10 giorni di dicembre la media settimanale dei contagi è salita sopra i 200mila, mentre si è stabilizzata su livelli alti in Europa. E dall’una all’altra parte dell’Oceano Atlantico cresce l’insofferenza per le restrizioni. Il trimestre che sta per finire vedrà una crescita negativa in Europa e positiva (ma con una frenata in corso di trimestre) negli Usa. E il primo quarto del 2021 sarà ancora difficile per entrambe.
L’inflazione continua a cedere a livello dei prezzi al consumo:in Cina la dinamica dei prezzi è perfino diventata negativa (tendenziale al -0,5%), anche se colà il principale responsabile sta nei prezzi della carne di maiale, un alimento principe dei cinesi. Ormai l’inflazione sembra svincolata dalle diverse posizioni cicliche e obbedisce a potenti fattori strutturali, legati a tecnologia e globalizzazione, che continuano a limitare gli aumenti dei prezzi. Nell’anno che viene ci sarà ancora una quota significativa di risorse inutilizzate nell’economia mondiale (output gap ampiamente sotto zero) ed è quindi poco probabile che il rimbalzo del PIL, unanimemente previsto, possa portare a sostanziali mutamenti nello scenario inflazionistico.
A livello dei prezzi alla produzione non ci sono cedimenti ulteriori, ma stabilizzazione: sotto zero per Cina ed Europa e vicino allo zero per gli Usa. In generale, l’economia dei beni ha tenuto meglio (o meno peggio) dell’economia dei servizi, e questo spiega la stabilità dei prezzi alla produzione. Le quotazioni delle materie prime, sostenute dalla domanda dei due maggiori consumatori mondiali – Cina ed Usa – hanno registrato nuovi progressi, sia a livello del greggio che delle materie non-oil.
I tassi a lunga non sono molto variati rispetto al mese scorso: i rendimenti del T-Bond sono rimasti attorno allo 0,90%, comunque in leggera crescita rispetto a qualche mese fa, mentre quelli dei Bund (sempre a 10 anni) segnano un -0,60%, comunque in leggera decrescita rispetto a qualche mese fa.
Ma l’umore dei tassi in giro per il mondo è sempre cattivo: perfino in Australia si è registrato un tasso negativo, se pure limitato ai titoli a 3 mesi; mentre in Portogallo anche il titolo a 10 anni ha registrato per la prima volta un rendimento sotto zero (-0,1%). Il BTp continua a fare faville (dal punto di vista del debitore, cioè lo Stato, non certo dal punto di vista del risparmiatore) e il rendimento tocca un altro record, a 0,55%, con uno spread ai minimi dal 2016. Nulla di quello che succede nei tortuosi corridoi del Palazzo tocca i titoli pubblici: c’è la Bce che vede e provvede.
La discesa dell’inflazione appesantisce, naturalmente, i tassi reali. Questi dovrebbero essere ancora più bassi, ma il pio desiderio rimarrà tale.
Per i cambi, il pessimismo delle Lancette dei mesi scorsi sul dollaro era giustificato. Siamo, contro euro, a 1,21 circa, mentre lo yuan si rafforza anch’esso, a 6,55. Sulla forza dello yuan non ci sono dubbi: l’economia cinese è quella che è uscita prima dal virus e quella che ha le migliori prospettive per il 2021. Ma perché l’euro è così forte? Ha guadagnato terreno, dall’inizio dell’anno, anche rispetto alla moneta cinese! Da un lato, si è annullato il vantaggio dei tassi reali a lunga che aveva il dollaro rispetto all’euro. Dall’altro lato, può essere che i capitali internazionali vedano nell’Europa un potenziale di rimbalzo. Dopotutto, il modo di far soldi è quello di comprare quando le cose vanno male…
In effetti i mercati azionari continuano a vedere il bicchiere mezzo pieno. Il perdurante sospetto che avessero ragione è stato confermato dai dati sui profitti societari americani di contabilità nazionale del terzo trimestre, che sono aumentati non solo rispetto al trimestre precedente – il che era normale – ma anche rispetto al terzo del 2019, un trimestre che era ancora del tutto ignaro del virus. Ed è stato smentito l’altrettanto perdurante sospetto che i mercati avessero torto… Vedi quel che può fare la fede nel vaccino!
L’oro, come si diceva la volta scorsa, ha ripreso il ruolo di bene rifugio, nel senso che non segue più l’andamento delle Borse: quando queste vanno bene, non ci dovrebbe essere bisogno di rifugi. E infatti alla fine di novembre il prezzo del metallo giallo era crollato sotto i 1800 dollari/oncia, salvo riprendersi ultimamente, ma sempre ben sotto i massimi estivi.
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Caro Zaffaroni, la ringrazio per le gentili parole. Da anni ho cessato la collaborazione col Sole. Adesso scrivo su un piccolo giornale - il Quotidiano del Sud - messo su dall'ex direttore del Sole Roberto Napoletano.
Per quanto riguarda il mio cognome, io mi definisco romano perché sono nato a Roma e ivi ho fatto le scuole. Ma lei ha ragione e non bisogna andare lontano nelle ascendenze. Mio padre era di Inverigo, provincia di Como...
Buone Feste!
Gentile Dr.Galimberti, dopo averla letta sulle pagine del Sole per tantissimi anni (prima e dopo la "direzione" Riotta), e sempre in via prioritaria, sono contento ora di ritrovarla su questo bel giornale on-line che non conoscevo e che ora frequento assiduamente. Torna la lettura delle Lancette (qui assieme al Dr.Paolazzi), un'idea editoriale che ho sempre trovata unica e originale nella stampa economica nazionale. Non mi dispiacerebbe però ritrovare qui anche qualche suo articolo tematico, di quelli chiari e dalle metafore senza eguali che leggevo ai tempi "solari".
Un cordiale saluto.
Virginio Zaffaroni, Saronno
P.S. Perdoni l'indiscrezione. Leggo che nella sua scheda personale è definito come "romano". Eppure quel suo cognome risuona fitto (e quasi esclusivamente) nelle mie terre lombarde, almeno quelle fra il Ticino e l'Oglio, e, nelle sonorità, sa di origini Longobarde e Franche. Mi piace credere che suoi lontani ascendenti fossero di casa nel Ducato di Milano (o nelle province lombarde della Serenissima).