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Comunità energetiche rinnovabili: cosa sono, come nascono e perché sono un affare per tutti

Foto di Sumanley xulx da Pixabay

Comunità energetiche rinnovabili? Pochi le conoscono. Eppure l’equazione promette davvero tanto: produco energia, la consumo, condivido quella che “avanza” con chi mi sta intorno e rimango comunque connesso con la rete elettrica nazionale, esattamente come se fossi un normale cittadino, o anche un’impresa. I vantaggi sono intuibili. Se ho un impianto di energia rinnovabile (pannelli solari, pala eolica, piccola turbina idroelettrica) sfrutto al massimo i vantaggi dell’energia verde, quella mia e quella dei miei partner. Accadrebbe anche se lo stato non mi aiutasse. Ma siccome lo Stato mi aiuta con incentivi dedicati proprio a questo meccanismo, il vantaggio si raddoppia.

Ecco così il grande affare, anche perché tutto viene amministrato a livello centrale dal GSE, il gestore pubblico dei servizi energetici, che si occupa sia dei conteggi dei flussi di energia in entrata e in uscita sia, direttamente, di corrispondere i rimborsi previsti. Perché sull’energia che circola in questo modo all’interno della Comunità energetica rinnovabile (CER) viene corrisposto un incentivo. In più ci viene riconosciuto un rimborso che sommato all’incentivo è superiore, tanto per dare un ordine di misura immediatamente comprensibile, a quello che il titolare che possiede un impianto fotovoltaico può realizzare con il meccanismo (già piuttosto diffuso) dello “scambio sul posto”, quello che consente di scambiare energia con la rete e vendere al sistema elettrico nazionale l’energia prodotta in eccesso dai suoi pannelli solari (con o senza accumulo, ovvero le batterie) a prezzi simili a quelli prodotti delle transazioni della Borsa Elettrica riservata ai grandi operatori.

Funziona? Sì. Conviene? Certamente. Il meccanismo è chiaro e costruire una CER è facile? Non è proprio così. La disciplina normativa esiste da qualche anno, ma si sta trasformando. Facciamo qui di seguito il punto della situazione mettendo insieme le informazioni che vengono dal GSE ed alcuni dei principali operatori del mercato elettrico.

Cosa sono le comunità energetiche

Una Comunità energetica è qualcosa di più grande ed esteso rispetto ad un’altra entità prevista dal nostro ordinamento, e cioè il gruppo di autoconsumatori. Il gruppo di autoconsumatori rappresenta un insieme di almeno due consumatori improprio di energia rinnovabile che, come spiega il GSE illustrando anche i riferimenti normativi che hanno dato origine alle comunità energetiche, “agiscono collettivamente in virtù di un accordo privato e si trovano nello stesso condominio/edificio. La CER è invece un soggetto giuridico, che può prendere anche la forma di una semplice associazione volontaria tra cittadini, imprese e attività commerciali, enti e anche organizzazioni non profit, alla quale possono partecipare anche enti locali come le amministrazioni comunali, magari con il ruolo di capofila. La missione della comunità – rimarca il GSE – è quella di “fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità ai propri azionisti un membri o alle aree locali cui opera, piuttosto che profitti finanziari”. Il modello delle società miste pubblico-privato presenta come intuibile i vantaggi maggiori anche per intercettare incentivi europei che in questo momento sono particolarmente consistenti: il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede infatti finanziamenti per 2,2 miliardi di euro a tasso zero fino al 100% dei costi ammissibili per gruppi di autoconsumatori e comunità energetiche rinnovabili nei comuni al di sotto dei 5000 abitanti.

Qual è il confine territoriale della Comunità energetica

Il confine territoriale rappresenta attualmente la prima incognita di cui tenere conto dell’evoluzione normativa e tecnica delle CER. Al momento possono far parte della singola CER solo coloro che sono allacciati alla stessa cabina secondaria di distribuzione elettrica, quella che trasforma la media tensione in bassa tensione, ovvero nella corrente che materialmente raggiunge i normali impianti delle case e delle attività imprenditoriali e commerciali medio-piccole. Una revisione normativa e tecnica è in atto, con l’imminente pubblicazione, che dovrebbe avvenire entro settembre, delle nuove regole da parte dell’autorità per l’energia (ARERA). Con la pubblicazione poi dei decreti attuativi, attesi entro la fine dell’anno, le CER potranno espandere il loro raggio d’azione a tutti i clienti elettrici allacciati alla stessa cabina primaria, quella che trasforma la corrente dall’alta alla media tensione. In pratica? Con le regole in vigore ben difficilmente una Comunità energetica può comprendere l’intero territorio di un Comune, anche di modeste dimensioni, mentre con le nuove regole potranno nascere CER ben più vaste, che possono addirittura comprendere piccoli comuni limitrofi.

Chi può partecipare alla CER

Possono partecipare davvero tutti purché, nel caso di imprese, lo scopo primario non sia come abbiamo detto quello di farne un business. Possono farne parte anche i normali consumatori di elettricità che non sono dotati, e magari non lo saranno mai, di impianti di energia rinnovabile. Anche se il principale incentivo a dotarsene deriva proprio dalla partecipazione alla comunità. Attualmente possono essere conferiti alla Comunità energetica rinnovabile solo gli impianti entrati in esercizio a partire dal 1° marzo 2020. Se poi, come spesso avviene, si è attivato lo “scambio sul posto” l’impianto non deve entrato in esercizio dopo il 16 gennaio del 2021 e quindi, in questo caso, la data di entrata in esercizio degli impianti è curiosamente “compressa” da due limiti temporali e metodologici. Un punto dolente e controverso, un evidente pasticcio per chi aveva già realizzato un impianto magari già soggetto al meccanismo dello scambio sul posto. Questi vincoli potrebbero però essere oggetto di revisione nell’ambito della evoluzione del meccanismo che avverrà nelle prossime settimane.

Chi e come costituisce una CER

La comunità energetica è un soggetto giuridico che si costituisce sulla base di uno statuto con il quale si definiscono tutti gli aspetti del funzionamento della Comunità, gli organi amministrativi, i parametri e criteri di distribuzione dei benefici. Visto che la missione della CER non può essere quella del profitto finanziario si può utilizzare anche lo schema delle associazioni non riconosciute, con un semplice contratto da registrare e con il vantaggio di costi di gestione e adempimenti organizzativi limitati. A facilitare il lavoro è direttamente il GSE, anche tramite un portale informativo e di un sito per effettuare delle simulazioni proprio per affiancare chi ha intenzione di istituire una Comunità energetica in tutte le opere propedeutiche, compresa la corretta definizione dello statuto, e nelle procedure di validazione e gestione della Comunità.

Esiste un modello di statuto a cui fare riferimento?

Non esiste un modello “ufficiale” e certificato di statuto. In rete sono comunque presenti alcuni modelli che gli esperti considerano un buon riferimento. Ad esempio quello presente sul sito del Sen. Gianni Girotto (M5S), tra i più decisi sostenitori del meccanismo.

Come funziona il meccanismo

Come abbiamo accennato alla Comunità energetica non ha bisogno di alcuna installazione particolare di apparati o sistemi di controllo. I conteggi sui flussi di energia che contraddistinguono la comunità sono fatti a livello centrale dal GSE in forma “virtuale”. Ciò non toglie che la comunità si possa eventualmente dotare di apparecchiature tecniche per monitorare improprio istantanei di energia nel territorio o magari per pianificare nella maniera più efficace le ulteriori fasi di espansione.

Come vengono corrisposti gli incentivi

Diversamente da ciò che accade per un impianto di energia rinnovabile con lo scambio sul posto, gli incentivi e rimborsi proporzionali ai flussi di energia all’interno della comunità non sono corrisposti ai singoli partecipanti ma direttamente alla CER, che sulla base di quanto previsto dallo statuto distribuirà i benefici economici: rimborsi ai soci proporzionali ai ricavi trasferiti dal GSE, eventuali ristori a chi ha installato gli impianti di energia rinnovabile che contribuiscono al funzionamento della comunità, finanziamenti o contributi per la realizzazione di nuovi impianti verdi, eventuali facilitazioni aggiuntive a consumatori che operano in attività a fini sociali.

Come stimare gli introiti

Per ipotizzare i possibili introiti prendiamo comoda di riferimento orientativo i parametri a qualche mese fa, prima degli sconvolgimenti anche tariffari dell’ultima crisi energetica. Il riferimento preso dagli analisti ipotizzano un beneficio complessivo per poco meno di 120 euro a megawattora (MWh) per vent’anni sull’energia condivisa, composto da una tariffa premio fissa di 110 euro a MWh sull’energia condivisa nella comunità, attorno ai 9 euro a MWh (fissi anche questi) sull’energia condivisa a valorizzazione dei benefici al sistema elettrico a cui si aggiunge il valore di mercato di tutta l’energia immessa nella rete elettrica che fino a poco tempo fa si avvicinava ai circa 50 euro a megawattora e che oggi causa inflazione vede un valore intorno ai 200 euro megawattora (valore comunque variabile in base ai prezzi di mercato). 

Si può costituire una CER anche in un grande centro urbano?

Certamente. Valgono i criteri che abbiamo illustrato, senza alcun vincolo particolare.

I partecipanti alla Comunità Energetica possono essere clienti di qualunque fornitore di elettricità? E possono cambiarlo?

Nessun vincolo, nessun problema. A raccogliere i dati sui consumi indispensabile le fatturazioni è in ogni caso il distributore locale di energia, a prescindere dal gestore con cui abbiamo stipulato il contratto. Dunque se vogliamo cambiare la società con cui stipuliamo i contratti per l’energia nulla cambia e nulla in più dobbiamo fare riguardo alla nostra partecipazione alla CER. Lo stesso GSE continuerà ad avere i dati utili dallo stesso operatore, ovvero il distributore dell’energia.

Quante sono le Comunità energetiche già attive in Italia?

Siamo ancora alle prime battute ma qualcosa di confortante sta emergendo. All’inizio di maggio risultavano al GSE 37 istanze di accesso, con impianti fotovoltaici potenza media di 15-20 kW da 23 gruppi di autoconsumatori e 14 comunità di energia rinnovabile ubicati prevalentemente al Nord: 8 dal Veneto, 7 dal Piemonte, 6 dalla Lombardia, 5 dal Trentino-Alto Adige, 2 dal Friuli-Venezia Giulia e sempre 2 dall’Emilia-Romagna, mentre nel nel centro e nel sud si contano due realizzazioni in Abruzzo e una rispettivamente in Campania, Lazio, Sicilia, Marche e Toscana.

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