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Commodities agricole: le tensioni in Medio Oriente per ora non spaventano, ma occhio al caffè

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Un attacco “telefonato”, quello dell’Iran sabato scorso nei confronti di Israele, e tutto sommato isolato, al momento. I mercati lo avevano già messo in conto ed è questo il motivo per cui, alla riapertura delle negoziazioni di lunedì 15 aprile, non ci sono stati scossoni né sui mercati (anzi, Piazza Affari ha chiuso in rialzo) né tantomeno sulle quotazioni delle materie prime, in particolare quella temutissima del petrolio. A differenza di quanto successo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, questa volta non c’è stato l’effetto domino di rialzo dei prezzi delle commodities. Del resto, sebbene la tensione sia altissima, non è ancora in corso un vero e proprio conflitto allargato. Ecco dunque che il petrolio, sia Brent che Wti, ha aperto la settimana galleggiando sui valori di venerdì scorso, in sostanziale parità.

Preoccupano le materie prime agroalimentari

C’era tuttavia molta preoccupazione per le materie prime agroalimentari. Gli analisti, a leggere la stampa sudamericana (il Sudamerica è la “fattoria” del mondo) avevano previsto un rialzo almeno nel breve termine di grano, mais e soia, con tendenza però ad una normalizzazione nel medio termine. Si temevano ripercussioni in particolare sulle quotazioni del grano, di cui la Russia è il primo produttore mondiale e l’Iran, protagonista dell’attacco a Israele, uno dei principali acquirenti, essendo partner commerciale e anche alleato geopolitico di Mosca. In realtà questo possibile choc non si è verificato e anzi il grano alla Borsa di Chicago ha chiuso in ribasso di oltre 4 punti a 5,51 dollari. L’unica commodity degna di attenzione, al momento, è il caffè “Arabica”, che alla Borsa di New York ha chiuso la prima seduta della settimana post-attacco in rialzo abbastanza significativo, di oltre il 3% a 2,31 dollari a libbra.

In questo caso però il tema più che i venti di guerra è il clima: il caldo anomalo e la siccità degli ultimi mesi soprattutto nell’emisfero Sud, dove si trovano i principali produttori globali, hanno messo in ginocchio le piantagioni. Il Brasile e il Vietnam sono i maggiori produttori del mondo e nel Paese asiatico il prezzo è più che raddoppiato negli ultimi tre mesi, passando da circa 2 a 4,2 dollari al chilo. Un rally che era iniziato già un anno fa ma che secondo gli analisti potrebbe aggravarsi a causa delle tensioni in Medio Oriente, anche perché oltre all’attacco dell’Iran c’è sempre il tema del canale di Suez, dello Yemen e delle difficoltà per le merci di transitare a pieno regime nel Mar Rosso. Nel caso del caffè i motivi di preoccupazione sono anche gli stock in esaurimento e il consumo in grande espansione, soprattutto in Asia.  

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