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Come Tim Cook ha cambiato Apple e come Apple sta cambiando lui

Il successore di Steve Jobs sta cambiando e aprendo Apple più di quanto non si potesse immaginare ma la leadership del grande gruppo californiano sta cambiando anche lui – Dal coraggio di fare coming out al nuovo status internazionale fino agli incontri con il Papa, con la Merkel e con Renzi

Come Tim Cook ha cambiato Apple e come Apple sta cambiando lui

Tim Cook era piuttosto impacciato alle prime presentazioni ed eventi pubblici, ma all’inizio, per quanto si impegnasse, sarebbe stato comunque sminuito dal confronto con Jobs, che padroneggiava una retorica eloquente. Col passare del tempo, però, si è decisamente calato nella parte. Al lancio di Apple Watch sfoggiava un sorriso spontaneo e scambiò un abbraccio del tutto naturale con la modella Christy Turlington Burns, sostenitrice dei diritti legati alla maternità, che ha utilizzato l’orologio per prepararsi alla maratona di Londra.

In poche parole ci ha preso gusto. Il giorno dopo coordinò l’assemblea annuale di Apple a Cupertino, un onere tedioso che la maggior parte dei CEO si limitano a sopportare, mentre lui era visibilmente preso dal botta e risposta con gli azionisti, rispondeva alle domande in modo affabile e declinava con gentilezza quelle più scomode. Per due volte gli chiesero se la società avrebbe comprato la tanto decantata Tesla Motors, azienda automobilistica affine ad Apple, ma lui evitò la questione e si complimentò scherzosamente con se stesso dicendo “essere il capo ha i suoi vantaggi”.

I vantaggi non finiscono qui, infatti il CEO gode di un’ampia visibilità che gli permette di affrontare una serie di tematiche non direttamente connesse ad Apple. In ottobre il suo Stato lo ha insignito nell’Alabama Academy of Honor, assieme all’allenatore di football della University of Alabama Nick Saban e al senatore Jeff Sessions, indicandolo come unico presentatore della cerimonia, una scelta che alcuni finirono per rimpiangere. Cook non perse tempo ad abbattere certi luoghi comuni e sfruttò l’occasione per rimproverare al governo dell’Alabama la sua lentezza nell’agire in materia di disuguaglianza razziale, di opportunità di formazione e di uguaglianza di omosessuali, bisessuali e transessuali: “Tutto questo non è giusto e non rispecchia i nostri valori”.

Subito dopo, un’emittente televisiva locale riprese il confronto imbarazzante tra Cook e il governatore repubblicano Robert Bentley, che si risentì esplicitamente per le dichiarazioni appena sentite. Don Logan, anche lui dell’Alabama, ex CEO di Time Inc. ed ex alunno della Auburn University, era tra il pubblico al Parlamento Montgomery: “Tim è molto coraggioso”, ha detto, sottolineando che la lo Stato aveva appena approvato un progetto di legge contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, “Sapeva di parlare al vento e che molte persone in quella stanza non erano d’accordo con lui”.

Il coming out

Pochi giorni dopo Cook dichiarò pubblicamente la sua omosessualità su Bloomberg Businessweek. Senza ulteriori commenti da parte sua o di Apple, la rivelazione scatenò la frenesia dei media, prevalentemente in senso positivo. Lui dice di aver agito innanzitutto per difendere i ragazzi che subiscono atti di bullismo nelle scuole, alcuni dei quali arrivano al punto di suicidarsi, ma anche per contestare i numerosi Stati che permettono tuttora ai datori di lavoro di licenziare le persone a causa del loro orientamento sessuale. Inoltre, mentre la giustizia statunitense si stava muovendo molto velocemente sul tema, a lui sembrava che “l’omosessualità non fosse stata sdoganata a livello di dirigenza delle grandi società”.

Cook aveva deciso da un pezzo di fare coming out, tant’è che il suo annuncio è stato visto come una “pedanteria” all’interno di Apple, dove lo sapevano quasi tutti. Tuttavia, il fatto di esporsi in questo modo rappresenta un grande passo per uno che si ritiene una persona generalmente riservata, oltre ad essere uno tra i pochi CEO che si sentono genuinamente a disagio a parlare di sé. “Onestamente, se non fossi giunto alla conclusione che avrei potuto aiutare altre persone non l’avrei mai fatto. Non mi piace spiattellare la mia vita” e citando il versetto “quanto più ciascuno ha ricevuto, tanto più gli sarà richiesto”, ammette “di certo a me è stato dato tanto”.

Il nuovo status internazionale di Cook

Da quel momento non è più stato semplicemente il tizio che gestisce la società di Steve Jobs, ma qualcosa di più. Mike Sullivan è un avvocato di San Francisco dello studio legale Pillsbury Winthrop Shaw Pittman che ha collaborato con diverse startup tecnologiche e anche lui vede il suo orientamento sessuale come una fonte di orgoglio e di affiliazione e non come una specie di stigma sul piano professionale. “Posso assicurarvi che tra i 500 CEO della classifica di Fortune ci sono diversi gay”, ha dichiarato, “Il messaggio di Tim è ‘Va bene essere se stessi. Non serve sbandierarlo, ma neanche nasconderlo’”.

Tim Cook è diventato così onnipresente che è difficile ricordarsi di quando non godeva di tutta questa visibilità. In marzo, durante un viaggio in Europa, ha avuto un breve incontro privato a Berlino con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e a Bruxelles con l’ex Primo Ministro estone Andrus Asnip, oggi Commissario europeo per il mercato unico digitale. Si parla di lui anche nel libro degli ex giornalisti di “Fortune” Brent Schlender e Rick Tezeli, i quali raccontano che Jobs doveva subire un trapianto e che Cook gli offrì una parte del suo fegato (che Jobs rifiutò). In marzo ha chiamato in diretta il famoso presentatore della CNBC Jim Cramer, il quale è stato assolutamente entusiasta della telefonata a sorpresa, in occasione del decimo anniversario del programma Mad Money.

In ottobre Cook ha tenuto il discorso inaugurale dell’Università Bocconi a Milano dove ha ricevuto un’accoglienza entusiastica da vera e propria rockstar. Nell’occasione ha incontrato anche il premier Matteo Renzi e probabilmente in quella sede si è siglato l’accordo che mette fine al contenzioso tra il fisco italiano e la Apple su una presunta evasione fiscale di quest’ultima. Apple ha accettato di pagare poco più di un terzo di quello che il fisco italiano esigeva, mettendo così fine a un contenzioso nei confronti del quale la Apple, anche per voce di Tim Cook, aveva più volte dichiarato la propria estraneità, avendo sempre operato nella legalità sia negli USA che in Europa. “È il diritto dell’economia ad essere inadeguato rispetto alle tendenze dei mercati”, aveva dichiarato Cook di fronte alla commissione d’inchiesta del Senato americano. In ogni caso l’atteggiamento consiliatorio di Cook è un segno importante della disponibilità del più grande gruppo tecnologico del mondo a trattare con i governi e le autorità europee per ristabilire un clima di fiducia tra questi ultimi e le grandi aziende innovative della Silicon Valley. Un segnale che non è venuto né da Google, né da Facebook, né da Microsoft e tanto meno dai giovani unicormi come Uber.

Apple si sta aprendo

In generale, ogni CEO è tenuto a rappresentare pubblicamente la sua società, solo che Tim Cook prende posizioni nette anche su temi come l’AIDS, i diritti umani e la riforma dell’immigrazione, che vede come opportunità di esercitare la sua leadership: “Vorrei essere il sasso lanciato nell’acqua, creare i cerchi del cambiamento”, dice, aggiungendo che questi temi sono sempre interessati ad Apple, anche se prima non se ne era mai parlato così apertamente. Per lui il fatto di cambiare il mondo è sempre stato in cima alla lista degli obiettivi della società, ancora prima del profitto. Sta progettando di dar via tutti i suoi averi per finanziare progetti filantropici, ma solo dopo aver provveduto a sostenere gli studi universitari del suo nipotino di 10 anni. Le partecipazioni di Cook in Apple ammontano a 120 milioni di dollari, a cui si aggiungono 665 milioni di azioni vincolate. Lui dice di aver già donato un bel po’ di soldi, ma progetta di sviluppare un approccio sistematico alla filantropia invece di limitarsi a staccare assegni.

È ironico che la società si stia aprendo sotto un CEO così cauto molto più che sotto il semidio pubblicitario di prima, che tra l’altro era piuttosto rigido nel limitare le interazioni tra i suoi dipendenti e la stampa, mentre da questo punto di vista Cook ha inaugurato una politica di trasparenza. Ad esempio, è altamente improbabile che Jobs avrebbe tollerato il profilo di venti pagine uscito su New Republic a proposito di Jonathan Ive, Chief Designer di Apple. Cook dice che questa esposizione fa parte del suo piano: “Intendo elevare il profilo pubblico di molti dirigenti e non solo. Penso che in fin dei conti questo faccia bene ad Apple”.

La nuova apertura ha quindi un duplice obiettivo. Il primo è fare in modo che si continui a parlare di Apple e il secondo consiste nell’allentare il guinzaglio ai dirigenti dall’ego particolarmente prorompente con lo scopo di tenerseli ancora più stretti. “Un vero coach è felice se i suoi campioni si godono un po’ di celebrità” dice Gassée, ex dirigente Apple, “Tim Cook è un vero impresario che si prende cura delle sue prime donne. Finché il botteghino ci guadagna, l’impresario cavalca l’onda”.

Partire dalle fondamenta

Tim Cook sta in cima a un’enorme cumulo di terra. È venuto in visita al cantiere di Cupertino su cui entro la fine del 2016 dovrebbe sorgere il nuovo campus di Apple. La terra è stata scavata dalla grande cava sottostante e il mucchio è alto come l’edificio di quattro piani che presto sarà costruito proprio qui, una struttura a ciambella la cui forma è stata paragonata a quella di una navicella spaziale. Osservando il brulichio sottostante di camion e operai, Cook inizia a parlare di uno dei temi che più gli stanno a cuore, cioè l’ambiente di lavoro.

Non gli è mai piaciuto l’aspetto grigio degli uffici metropolitani, quindi la nuova casa di Apple sarà diversa, “Non dovrebbe essere un posto che spegne l’estro creativo”, spiega pensando all’impatto che avranno i futuri neolaureati arrivando qui. In lontananza si vedono il vecchio campus di Cupertino, la city di San Jose e il Levi’s Stadium, dove giocano i San Francisco 49ers, che entrerebbe comodamente nel parco di 120mila m2 al centro dell’edificio a ciambella. Lo stesso Steve Jobs passò buona parte dei suoi ultimi due anni di vita a progettare il campus e assunse l’architetto britannico Norman Foster. Qui tutto è su vasta scala e Cook recita i numeri a memoria: l’edificio principale si estenderà su 260mila m2 e ospiterà 13mila impiegati, mentre altri 2.000 lavoratori occuperanno gli edifici adiacenti, che comprendono un centro benessere di 9.300 m2 e un bar che servirà 15mila pasti al giorno, a cui si aggiungono più di 8.000 alberi, tutti nati nella Santa Clara Valley.

Il CEO visita periodicamente il cantiere, dove è già stato due volte con l’intero consiglio, e guarda le 22 gru che punteggiano il paesaggio con soddisfazione da ingegnere. Non si è ancora deciso con esattezza quale sarà il nome di quello che per ora è chiamato “Apple Campus 2”, ma di sicuro i nomi di alcuni edifici o dell’intera struttura includeranno un omaggio a Jobs, con il permesso la sua famiglia.

Durante i 90 minuti di tour del cantiere Cook dispensa dettagli sul campus, che lui definisce “la madre di tutti i prodotti”. Per cominciare, Apple sta investendo in tecnologie d’avanguardia per soddisfare necessità quotidiane come il parcheggio: un sistema di sensori e applicazioni fungerà da vigile urbano per gli impiegati che accederanno alla struttura, eliminando in un colpo solo la caccia al parcheggio e lo spreco di carburante. Come per i suoi negozi, Apple ha costruito diversi modelli  per poi farli a pezzi. Il nuovo edificio non supererà i quattro piani, proprio come quello vecchio, e a questo proposito la spiegazione di Cook è stata “il modellino a cinque piani non ci piaceva”. Va particolarmente fiero dell’auditorium da 1.000 posti, quasi completamente interrato, che si trova nell’angolo sudorientale del campus, nuova sede delle presentazioni pubbliche e della conferenza annuale degli sviluppatori, “Finalmente non dovremo più organizzarci con mesi di anticipo per rispettare i programmi degli altri!”.

Quando si parla del campus, a Cook dà particolarmente fastidio l’etichetta ‘quartier generale’, “Detesto quella parola. Qui si lavora sul serio, non siamo mica burocrati”. Non a caso i dipendenti fanno ampie speculazioni riguardo a quali gruppi saranno assegnati al nuovo edificio e quali rimarranno nell’altro, “Abbiamo cambiato idea tre volte ed è probabile che cambieremo idea altre tre volte” confessa il CEO.

Maniaco della forma fisica

Per fare tutto questo il CEO non ha nemmeno bisogno di tirare fuori il suo i Phone, uno degli attributi che secondo Apple determineranno il successo dell’orologio, e coglie l’occasione per mettere in mostra alcune funzionalità del dispositivo, come il quadrante di Mickey Mouse, aggiornato affinché l’icona Disney batta il piede allegramente al ritmo di un colpo al secondo. Cook si definisce un fanatico della forma fisica e legge con orgoglio l’attività giornaliera calcolata dall’orologio: finora ha cronometrato 50 minuti di esercizio e ha contato 8.139 passi, quasi sei chilometri e mezzo. Da buon mattiniero, è in piedi da 12 ore e non sono neanche le tre e mezza, la sua giornata lavorativa e il suo tempo al comando di Apple sono solo all’inizio.

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