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Come si finanzia l’Isis? Petrolio, rapimenti, contrabbando, estorsioni e donazioni

L’organizzazione terroristica più pericolosa del mondo, ma anche la più potente, la più ricca e quella tecnologicamente più avanzata. Dopo gli attentati di Parigi e la  risposta francese a Raqqa, i Governi internazionali cercano di capire come sconfiggere l’Isis prima che sia troppo tardi.

La strategia sembra essere cambiata rispetto al passato: non basta affrontare il Califfato sul piano militare, ma occorre colpirlo soprattutto su quello finanziario, scardinando la fruttuosa rete di finanziamenti che lo Stato Islamico è riuscito a creare negli ultimi 13 mesi. Non solo petrolio siriano e iracheno, ma anche rapimenti di stranieri, rapine, tasse, estorsioni, saccheggi, contrabbando e donazioni.

Un vero e proprio sistema che nel 2014, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, è riuscito a generare 2 miliardi di dollari

Ma quali sono le principali fonti di finanziamento dello Stato Islamico?

Dai pozzi di petrolio situati nei territori controllati dal Califfato, l’Isis riusciva a ricavare tra i 2 e i 3 milioni di dollari al giorno. Ad oggi il greggio rimane la prima fonte di finanziamento che garantisce circa 450 milioni di euro di ricavi. Secondo l’intelligence americana, lo Stato Islamico vende barili di petrolio a prezzi bassissimi con i quali i Paesi dell’Opec non possono ovviamente competere. Lo stesso può dirsi per la vendita del gas proveniente dal giacimento di Der Ezzor in Siria. Con i bombardamenti mirati sui pozzi di petrolio la produzione è scesa, ma secondo l’Agenzia internazionale per l’energia non ancora interrotta. Come le principali compagnie petrolifere inoltre, anche lo l’Isis comincia a soffrire il calo delle quotazioni registrato nel 2015.

Da non sottovalutare neanche gli introiti derivanti dalle tasse e dalle estorsioni sui cittadini residenti nei territori posti sotto il suo controllo. Un vero e proprio sistema fiscale basato su imposte sul commercio, l’imprenditoria e l’autotrasporto. Come evidenzia Il Sole 24 Ore, quantificare il ricavato derivante da questo “settore” non è semplice, anche se si stimano circa 8 milioni di dollari al mese, 96 milioni in un anno.

Un capitolo a parte lo meritano i saccheggi compiuti ai danni di privati e istituzioni. Dopo la conquista di Mosul, città situata nella zona nord dell’Iraq, gli estremisti islamici sono entrati in possesso di centinaia di milioni di dollari depositati in banca e di altri beni preziosi, in primis lingotti d’oro.

Dal contrabbando di beni archeologici e opere d’arte, lo Stato Islamico guadagnerebbe circa 100 milioni di dollari l’anno.

Ultima fonte di finanziamento è infine rappresentata dalle donazioni provenienti da charity islamiche o privati. Matthew Levitt, direttore del “Programma su antiterrorismo e intelligence” del Washington Institute for Near Policy, stima che nel 2013 e 2014 l’ISIS abbia ricevuto oltre 40 milioni di dollari in finanziamenti provenienti dai Paese del Golfo Persico, in particolare Arabia Saudita, Qatar e Kuwait.

Attraverso le sue numerose risorse dunque, il Califfato guidato da Abu Bakr al-Baghdadi è riuscito a costruire un vero e proprio impero che gli Stati Occidentali hanno deciso di colpire allo scopo di interrompere la capacità dell’organizzazione di generare entrate capaci di sostenere le operazioni terroristiche. Ieri, per la prima volta da quando è iniziata la campagna internazionale contro lo Stato Islamico, 4 caccia americani hanno mirato contro 166 autobotti per il trasporto di petrolio a Dayr Az Zor, polo petrolifero situato in Siria. Da adesso in poi la guerra contro l’ISIS verrà combattuta su due fronti: quello militare e quello finanziario. 

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