Venezia fine Quattrocento: punto di intersezione tra cultura e affari
Nel quinto centenario della scomparsa, il Grolier Club di Manhattan, New York, ha dedicato una mostra ad Aldo Manuzio dal titolo “Aldus Manutius: A Legacy More Lasting Than Bronze”. E chi è costui – direte voi lettori e, soprattutto, voi e-lettori?
Manuzio è un personaggio davvero importante per chi si occupa di editoria, ma non solo. Nato in un paesino laziale, Bassiano, il cui nome richiama curiosamente luoghi e pittori del Rinascimento veneto, si trasferì appunto a Venezia, dopo gli anni di formazione umanistica spesi tra Roma e Ferrara, tra il 1489 e il 1490. Trovarsi a Venezia in quel decennio cruciale per lo sviluppo della città voleva dire essere parte della più potente repubblica marinara, crocevia di creatività e ispirazione metropolitana, mitigate dal rigore di personaggi come il cardinal Bessarione che alla città aveva donato la sua strabiliante collezione di codici, oppure di Ermolao Barbaro che agli studiosi metteva a disposizione la sua grande biblioteca. Senza dimenticare che, oltre ad un’aristocrazia ricca, ambiziosa e colta, pochi anni dopo, all’alba del Cinquecento, sarebbero arrivate a Venezia alcune tra le menti e le mani più abili della pittura rinascimentale: Lorenzo Lotto, Tiziano Vecellio, Tintoretto.
Un perfetto equilibrio tra tecnica, arte e mercato
Ad ogni modo, Manuzio si ritrova in una di quelle fortunate coincidenze spazio-temporali in cui, a chi voglia occuparsi di cultura, gli affari non possono che andar bene (beati loro!). Grammatiche greche, dizionari, edizioni complete delle opere di Aristotele, Lucrezio e Plutarco, opere di storia e trattati di oratoria cominciano a uscire dalle abili mani di una quindicina di operai e da sei torchi in contrada S. Agostin. Se dal punto di vista contenutistico non furono poche le opere cruciali inserite nel piano editoriale della stamperia di Manuzio, anche sul piano pratico molti furono i suoi successi: dallo sviluppo di caratteri come il Bembo, esempio di raffinata eleganza e di proporzioni basate sulla profonda conoscenza dei coevi studi umanistici in architettura, tale fu l’unanime riconoscimento dell’arte di Manuzio da essere il primo a essere plagiato, con botteghe di imitatori che “taroccavano” i suoi libri.
E proprio a questo periodo risale la composizione di una delle opere più studiate del Rinascimento italiano, l’Hypnerotomachia Poliphili, attribuita a Francesco Colonna ma dibattuta in ogni dettaglio ancora ai giorni nostri e soggetto di una imponente bibliografia sui cinque continenti. La particolarità del volume aldino, oltre al complesso e misterioso contenuto, risiede certamente nell’arte di combinare le ben 172 illustrazioni incise su matrici di legno con il testo in volgare.
I libelli portatiles
All’inizio del Cinquecento, inoltre, Manuzio inventò — forse per ovviare alla crisi economica dovuta in parte anche alle guerre attraverso le quali Venezia cercava di barcamenarsi mantenendo la propria indipendenza — i primi libri “portatili”, ovvero dei libelli di dimensioni contenute che permettevano di svincolare la lettura dall’essere un’occupazione puramente connessa ai momenti di studio o a determinati luoghi deputati, dando pertanto vita ad una concezione moderna del lettore.
Parenti dei tascabili e antenati degli e-book, i libelli portatiles di Manuzio fanno bella mostra di sé nelle sale del Grolier Club di New York.
Il laboratorio dell’editore moderno
Manuzio introdusse anche l’uso della punteggiatura mutuandone l’uso dal greco e introducendo accenti, punti e virgole e apostrofi e creò inoltre un famoso logo per la sua bottega: un’ancora e un delfino stretti in un abbraccio sugellato dal motto “Festina lente” (affrettati con calma) usato ancora oggi dalla casa editrice Doubleday.
Nella bottega di Manuzio, prendono forma anche quelle forme di mercanteggiamento tra autori ed editori che caratterizzano ancora oggi l’editoria moderna precedente all’introduzione degli e-book, ovvero la promessa d’acquisto di uno stock di libri da parte degli autori o dei committenti alfine di garantire il rientro economico delle spese di pubblicazione agli editori. A Manuzio fu addirittura il celebre Erasmo da Rotterdam a garantire l’acquisizione di 200 copie dell’edizione dei suoi Adagia nel 1507, Erasmo che gli suggerì anche di realizzare l’opera in corsivo, contribuendo alla creazione di quel set di caratteri che ancora oggi viene chiamato italics in lingua inglese, celato omaggio al nostro Manuzio.
Il Grolier Club
La mostra al Grolier Club a cura di Scott Clemons e George Fletcher fa conoscere al pubblico dei bibliofili italiani questo club dedicato all’arte della manifattura libraria. Fondato da Robert Hoe nel 1884, prende il nome dal celebre collezionista francese Jean Grolier, figura ispiratrice per gli otto membri fondatori del club che nella sua mission annovera obiettivi come sostenere lo studio dei libri e delle opere cartacee, mantenere una biblioteca, pubblicare occasionalmente dei libri, organizzare mostre e diffondere la cultura libraria presso il pubblico generale – non dimenticando l’arte (davvero sconosciuta ai più) di compilare bibliografie. La collezione del club include 100.000 libri che trattano di…libri! Il Grolier possiede anche 60.000 cataloghi di vendite e aste di libri raccolti nell’arco di cento anni dai più importanti librai europei e americani. Quale posto migliore per chi abbia voglia di approfondire l’argomento?
L’Italia non è da meno e non ha dimenticato il suo celebre stampatore. Anche da noi fioccano le iniziative che celebrano la ricorrenza del cinquecentenario. La Biblioteca nazionale Marciana di Venezia ospita il ciclo “Aldo al lettore…” alla scoperta del mondo di Manuzio. Si tratta di un ciclo di incontri, eventi, laboratori a cura di Tiziana Plebani da gennaio a novembre 2015 per chi avesse voglia di capire le radici della nostra cultura editoriale e tipografica.
* * *
Lo scudo di Achille. Cinque domande a Scott Clemons, co-curatore della mostra
Come descrive l’esperienza di visitare questa mostra?
La mostra intende trasportare il visitatore indietro nel tempo, nell’Italia del 1400-1500, quando la tecnologia della stampa a caratteri mobile era ancora in fase iniziale. Il nostro pubblico dovrebbe sentirsi in una biblioteca rinascimentale.
Che reazione si aspetta, o desidera, dallo spettatore?
Speriamo che il nostro pubblico acquisisca o rafforzi l’amore per il libro come oggetto fisico. A livello personale, si spera che i visitatori sviluppino un apprezzamento altrettanto personale del ruolo giocato da Aldo Manuzio nel trasferire la nuova arte della stampa alla conservazione e alla diffusione delle grandi opere letterarie.
Che cosa dovremmo imparare da questa mostra?
La mostra è stata organizzata per celebrare il cinquecentenario della morte di Aldo Manuzio e, cogliendo l’occasione, per ricordare il suo contributo al mondo della stampa. Aldo fu il primo a stampare la maggior parte dei classici standard greci, in questo modo salvaguardando la cultura letteraria per i posteri. Aldo fu anche il primo a introdurre un formato più piccolo per la letteratura non sacra, trasformando la lettura in un atto personale e “portatile”. Nelle parole del suo amico Erasmo, Aldo creò una “biblioteca senza muri”.
Qual è l’opera che personalmente preferisce e che le sensazioni che prova quando le viene in mente?
Molti dei libri in mostra recano i segni dei loro precedenti proprietari, come messo in evidenza dalle rilegature, dalle annotazioni o dalle decorazioni. Questi libri sono stati amati e usati per mezzo millennio e i loro attuali proprietari sentono una grande responsabilità nella loro custodia poiché vogliono garantire anche alle future generazioni la gioia di vederli e imparare da essi.
Consiglia qualche attività legata alla mostra o qualche luogo, cibo, libro, musica, drink o qualsiasi altra cosa che lo spettatore può fare per arricchire l’esperienza della mostra?
New York è piena di musei e qualsiasi esposizione di arte rinascimentale sarebbe la compagna ideale della mostra al Grolier Club. Inoltre un volume che accompagna la mostra sarà pubblicato dal Grolier Club all’inizio dell’estate 2015.
* * *
Un ricordo manuziano
Quando nel lontano 1986 abbiamo fondato Thèsis Contents e abbiamo acquistato il primo Macintosh con l’idea di realizzarci dei libri, visto che Steve Jobs l’avevo dotato di un set di meravigliosi caratteri tipografici (tra cui il Palatino e il Bookman) che la Laser Printer riproduceva con una qualità quasi tipografica grazie al linguaggio di descrizione PostScript di Adobe, ci siamo guardati intorno per dotarci di un programma di impaginazione che fosse più sofisticato e controllabile di Microsoft Word rilasciato nel 1985 per Mac. Allora non c’era Internet e le informazioni non erano così facilmente distribuite e condivise. Allo Smau di quell’anno (stavamo con la roulotte in un campeggio alle porte di Milano) abbiamo parlato con uno dei primi rivenditori Apple in Italia, il quale ci ha consigliato PageMaker, un software di impaginazione realizzato proprio per il Mac da una software house di Seattle e distribuito in Italia da una società di Reggio Emilia. Tempo dopo ho saputo che la LaserWriter e il PageMaker erano stati rilasciati lo stesso giorno il 23 gennaio 1985. Questa data può essere segnata come la data di nascita di quel grande fenomeno tecnologico che ha cambiato il mondo dell’editoria e che si chiama desktop publishing. Quando ci è arrivata la scatola del PageMaker, che pagammo 6mila dollari, ho visto sul dorso della scatola il logo della Aldus Corporation, il profilo stilizzato di Aldo Manuzio su uno sfondo a tende veneziane. A riflettere bene a chi altri potevano ispirarsi gli sviluppatori di PageMaker se non ad Aldus?