I giovani sono arrivati. Greta Thunberg anche. Le istituzioni, a cominciare dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sono pronte a far sentire la propria voce per tracciare un percorso più credibile nella lotta ai cambiamenti climatici. La settimana del clima di Milano tra Youth4Climate e PreCop26 è partita martedì 28 settembre. È l’ultimo appuntamento mondiale prima della Conferenza Onu di Glasgow di novembre organizzata da Italia e Regno Unito. Il Ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha detto che saranno ascoltati i giovani per andare più veloci. Sul significato degli appuntamenti milanesi FIRSTonline ne ha parlato con il fisico italiano Antonello Pasini, tra i maggiori climatologi europei.
Professor Pasini, cosa si aspetta dall’evento di Milano?
“Mi aspetto sostanzialmente due cose. Innanzitutto c’è stata qualche apertura ad alto livello delle maggiori nazioni emettitrici e questo deve essere recepito da chi le deve tradurre in un testo, che poi si discuterà e affinerà a Glasgow. Il lavoro dei cosiddetti “sherpa” è oscuro, ma fondamentale. Inoltre, spero che la presenza a Milano anche della CoP dei giovani dia quella visione di lungo periodo e di giustizia interstatale ed intergenerazionale che è sempre necessaria quando si parla di cambiamenti climatici, sia per la mitigazione che per l’adattamento.”
Ma l’Italia sta facendo abbastanza con il PNRR per la transizione ecologica?
“Mi sembra che in Italia si parli esclusivamente di soluzioni tecnologiche per una transizione energetica, più che ecologica in senso lato. A mio parere, questo è molto limitativo e potrebbe non farci raggiungere gli obiettivi che ci ha posto l’Europa”.
Può spiegarsi meglio?
“Credo in sostanza che non si tenga conto di quei limiti planetari più volte evidenziati, a partire dai lavori del Club di Roma, e non si valuti per nulla quello che gli economisti chiamano il “capitale naturale”. Penso che si tratti di ripensare un intero paradigma di sviluppo che continua a puntare su una crescita di produzione.”
Ma le politiche ambientali devono essere calate sui territori. Quanto sono effettivamente realizzate a livello locale in Italia?
“La situazione è molto diversificata da luogo a luogo del nostro Paese. Vi sono amministratori locali illuminati che pensano veramente ad un adattamento efficace dei loro territori al cambiamento climatico. Altrove vi sono Comuni in cui si continua con azioni deleterie per l’ambiente, come ad esempio un cattivo uso del suolo.”
Veniamo agli investimenti. Secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente gli investimenti statali per la lotta ai cambiamenti climatici sono bassi, appena il 2%. Cosa bisogna fare?
“A mio parere occorre aumentare questi investimenti, ma anche far in modo che siano mirati all’innesco di circuiti virtuosi che possano far da volano anche all’iniziativa privata.”
È un problema di opportunità…
“Si, gli investimenti statali, in sostanza, devono far in modo che inizi la transizione, che poi, al raggiungimento di una soglia (ad esempio di convenienza economica delle rinnovabili o delle auto elettriche) camminerà con le proprie gambe.”
Resta aperta la questione delle fonti fossili. Russia e Norvegia aumentano le forniture di gas all’Europa. Il Ministro Cingolani, e non solo lui in verità, ritengono il gas necessario ad accompagnare la transizione. Secondo Lei?
“Direi che è necessario solo in minima parte, anche perchè il suo prezzo sta salendo e proprio questo – non la transizione alle energie verdi – sta provocando gli aumenti delle bollette energetiche che si stanno paventando.”
Quindi, nessuna spesa aggiuntiva?
“Non credo dobbiamo spendere soldi per il gas, l’idrogeno da esso ottenuto e il confinamento di anidride carbonica da impianti fossili. Questi soldi sarebbero meglio spesi nelle rinnovabili e la trasformazione della rete elettrica nazionale.”
Per non confondere le persone su temi così complessi, bisogna sapere di cosa si parla. Di recente Lei ha sostenuto proprio l’importanza delle parole e del linguaggio sui temi del cambiamento climatico. Cosa c’è che non va?
“Sicuramente noi scienziati del clima dobbiamo farci capire meglio, ma il vero problema è proprio il paradigma di comunicazione a una via, con gli scienziati che fanno comunicati stampa e report indirizzati alla politica, come ricevente“.
Ma la politica prende decisioni…
“Si a quel punto la politica può anche non ascoltare e noi non ci possiamo fare niente. Occorre un rapporto più istituzionalizzato tra politica e scienza, soprattutto in questi tempi in cui si sta finalmente capendo che per risolvere le varie emergenze della nostra epoca e programmare il futuro con tranquillità dobbiamo rivolgerci ad una conoscenza validata e seria.”