I temi più urgenti sono quelli dell’Agenda dell’Unione europea. E si capirà presto se e qua to peserà il recentissimo shock dell’alluvione in Germania che ha fa provocato morti e dispersi. Al G20 sul clima di Napoli del 22 e 23 luglio si parlerà di sostenibilità, investimenti, strategie da aggiornare per non perdere altro tempo. Perché di tempo a disposizione non ce n’è tanto. Ministri dell’ambiente, esperti, diplomatici da ogni parte, per due giorni proveranno a rimettere insieme i pezzi di un mosaico geopolitico complicato. Da un lato, Europa e Usa che hanno inserito la marcia veloce per frenare i disastri provocati dai cambiamenti climatici. Dall’altro un elenco di Paesi non pronti a svoltare verso le fonti rinnovabili, la sostenibilità sociale, a corto di piani veri per uscire dal carbone, dalle fossili, dagli impatti nocivi. Un’asimmetria preoccupante sei anni dopo la conferenza Onu di Parigi. Non é raro, del resto, scorgere sotto la coperta del Green word delle conferenze internazionali amarezze e fallimenti. Una lunga teoria di insuccessi che magari a Napoli metterà di fronte alle responsabilità le classi dirigenti di oggi. Il mondo delle banche e della grande industria non sono estranee a queste delusioni. Sbagliato pensare il contrario, pur riconoscendo loro gli sforzi attuali per stare dentro il nuovo mondo in costruzione.
In vista dell’appuntamento di Napoli il governo italiano- leader del G20- ha detto chiaro che bisognerà discutere di innovazione per l’ambiente ma anche del supporto ai Paesi più vulnerabili. Mario Draghi sa bene che le delegazioni si misureranno con questioni abbastanza divisive. Sarebbe facile parlare solo di un pezzo di mondo trascurando l’altro che spinge per popolazione crescente, bisogni, business miliardari dei ricchi. I soldi del Next Génération Eu di Ursula von der Leyen e il mega Piano di Joe Biden di 2 mila miliardi di dollari per clima ed occupazione sono lo specchio di una crisi mondiale alla quale si risponde con la finanza a pubblica. Quanto successo avranno queste politiche nei prossimi anni ? Saranno solo le risorse pubbliche a cambiare paradigmi di sviluppo e di crescita consolidati da secoli?Basteranno le politiche espansive del credito a rigenerare i paesi industrializzati, a sostenere occupazione e redditi? E cosa si farà per le risorse naturali e delle materie prime i cui prezzi sono il vero pendolo per misurare le effettive transazioni verdi? Domande pesanti alle quali la risposta multipla non fa bene.
L’opposizione a certi schemi pensati dai Paesi industrializzati è viva ed attuale.Non c’è popolazione al mondo che possa dirsi fuori dalla minacce dei cambiamenti climatici.L’esistenza del pianeta – ha scritto Papa Francesco– è soprattutto nelle mani dei ricchi.Le economie forti tutto sommato riescono a resistere a lutti e tragedie. Ma i Paesi del fronte opposto permangono nelle condizioni peggiori di arretratezza e sottomissione a fenomeni naturali indotti. Un vertice come quello di Napoli che non riuscisse a riequilibrare una bilancia falsata dalla realtà sarebbe un fallimento.L’Italia non se lo augura,nonostante solo da pochi mesi la strada della transizione green sia presidiata da persone meno fumose e transitorie.Lo sarebbe ancora di più- il vertice- se non riuscisse a parlare ai giovani.
Verso le migliaia di nostri figli che da anni manifestano nelle piazze del mondo a difesa del pianeta,i Grandi hanno debiti di riconoscenza.L’attenzione dilagante è merito di una generazione che se ha i piedi per terra puo’ ambire a farsi classe dirigente responsabile.Anche a Napoli la rete dei movimenti si farà sentire.Venerdì prossimo fuori della zona rossa del vertice, ci saranno dibattiti ed incontri con esperti e rappresentanti delle associazioni.La città ascolterà due linguaggi, tre, forse di più,modi di interpretare cambiamenti epocali e di vita da vivere.Evocare ,temere, la rappresentanza dei movimenti unicamente come antagonista a disegni di transizione, sarebbe l’ennesimo errore che un Paese che ospita e guida il vertice dovrà assolutamente evitare.