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Clima: fare spazio a chi fa. La proposta del Sindaco di Londra

In una lunga intervista, della quale vi proponiamo una sintesi, Sadiq Khan, sindaco di Londra, afferma che sono le città a guidare la battaglia contro il cambiamento climatico. I governi nazionali sono molto esitanti, mentre le città possono veramente adottare programmi efficaci per il contenimento dei gas serra

Clima: fare spazio a chi fa. La proposta del Sindaco di Londra

Sadiq Khan ha fatto della lotta contro l’inquinamento atmosferico urbano e il cambiamento climatico il tema principale dei suoi sei anni da sindaco di Londra. Primo sindaco musulmano della città, il 51enne ex deputato laburista, è stato eletto l’anno scorso presidente del gruppo C40 Cities, che riunisce le principali città del mondo e che pone il cambiamento climatico in cima alla sua agenda politica.

Grandemente frustrato dalla lentezza dei progressi compiuti nei vertici sul clima promossi dalle Nazioni Unite, Khan definisce i sindaci delle città come gli “esecutori” del cambiamento climatico, in contrasto con i “temporeggiatori” dei governi nazionali e afferma che alle città deve essere assegnato un nuovo ruolo di leadership nei futuri vertici sul clima.

Khan mette sulla bilancia il più grande programma al mondo per la riduzione delle emissioni dei veicoli nelle città e promette di realizzare riforme ancora più incisive su questo tema se sarà rieletto nel 2024 come sindaco di Londra.

Intervista a Sadiq Khan

In qualità di presidente del gruppo C40, che riunisce 97 grandi città, lei esorta spesso le città a condividere le loro migliori pratiche nella lotta al cambiamento climatico. Può darci qualche esempio significativo di questo sforzo?

“Il grande sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, sta facendo un ottimo lavoro di adeguamento degli edifici per migliorarne l’efficienza energetica. Freetown, in Sierra Leone, sta facendo un ottimo lavoro nel piantare alberi che aiutano a ridurre le frane e a migliorare la qualità dell’aria. New York e Tokyo hanno adottato standard impressionanti per gli edifici, riducendo le loro emissioni energetiche e Oslo ha introdotto i bilanci di carbonio (carbon budgets) per la città. Londra ha varato la prima Ultra Low Emission Zone (ULEZ) al mondo, che impone una tassa sui veicoli che non rispettano gli standard ecologici. Nel giro di due anni abbiamo dimezzato la tossicità dell’aria nel centro della città”.

C’è un programma specifico che lei vorrebbe adottare a Londra rispetto a quello che ha visto funzionare altrove?

“Sono molto colpito da ciò che il sindaco di Oslo, Raymond Johansen, sta facendo con i bilanci di carbonio. Stiamo pensando di iniziare a inserire anche noi un bilancio delle emissioni di carbonio quando elaboreremo il prossimo budget a Londra, in modo da poter vedere le ricadute sulle emissioni di carbonio di ogni sterlina che spendiamo. Ci sono esempi in tutto il mondo che portano a risultati tangibili, perché le città sono attive nella lotta al cambiamento climatico, mentre i governi nazionali sono spesso in ritardo”.

In che senso?

“È molto semplice. La maggior parte dei Paesi che hanno fissato obiettivi per arrivare a zero emissioni di carbonio hanno stabilito un programma a 20-30 anni, quando quei leader politici non ci saranno più. I sindaci hanno fissato obiettivi a breve e stanno già facendo qualcosa. Di tutti gli oltre 200 Paesi che hanno firmato l’Accordo di Parigi, quanti hanno un piano di trasformazione che rispetti effettivamente l’accordo? Solo uno, il Gambia. Per le grandi città è differente. Dei 97 membri del C40, 64 hanno un piano di trasformazione per arrivare a zero emissioni di carbonio in conformità con Parigi. Questa è il discrimine tra chi fa e chi procrastina”.

Quali sono i risultati subito raggiungibili per ridurre le emissioni di CO2 nelle grandi città?

“Ci sono tre grandi aree in cui si producono emissioni di carbonio: i luoghi dove le persone lavorano, dove vivono e il modo in cui viaggiano. Se riusciamo a ridurre le emissioni in queste aree, ad esempio andando più a piedi, più in bicicletta, più con i mezzi pubblici e meno con i veicoli, riduciamo rapidamente le emissioni di carbonio e altre forme di inquinamento. Isolare i nostri edifici con doppi vetri e così via per renderli più efficienti dal punto di vista energetico e utilizzare veicoli elettrici o a idrogeno sono altri esempi concretamente possibili. Sono cose che possiamo fare facilmente e ci sono città che lo stanno già facendo seriamente”.

Quali sono le sfide più impegnative nel lungo termine?

“Il più difficile – ma non insormontabile – è la transizione dagli idrocarburi alle energie rinnovabili. Bisogna investire. Spesso viene visto come un investimento a perdere, ma il denaro viene restituito in termini di riduzione delle bollette del carburante e di nuovi posti di lavoro”.

Adesso vi state consultando per espandere la zona di Londra a bassissima emissione in modo da coprire un’area molto più ampia della città, ma pensate che alla fine dovrete andare oltre?

“Sì dobbiamo oltre. Credo che il prossimo passo sia la tariffazione intelligente del traffico stradale, cioè la regolazione delle tariffe per il traffico stradale mediante tecnologie smart. La Congestion charge e la ULEZ di Londra sono state le prime del loro genere quando sono state introdotte nel 2003 e nel 2017, ma sono piuttosto grossolane. Hanno portato a grandi miglioramenti nella qualità dell’aria, ma si basano unicamente sul principio dell’ingresso di un veicolo in un’area geografica. Sarebbe meglio avere un sistema su misura che tega conto dei profili economici e sociali degli utenti e dello stato di fatto dei veicoli e delle aree. Per esempio si dovrebbe pagare di meno in aree con pessimi trasporti pubblici e poche alternative alla guida, o quando la congestione è minima o la propria auto ha dei contenuti parametri di inquinamento. Anche il reddito sarà preso in considerazione per determinare la tariffa. È a questo insieme di misure che stiamo lavorando e lavoreremo in futuro”.

A che punto siete?

“Spero di farlo nel mio prossimo mandato, se sarò rieletto nel 2024. Se succederà andremo a espandere la ULEZ all’intera Greater London e nel prossimo mandato, dal 2024 al 2028, spero che riusciremo a ottenere una tariffazione intelligente per gli utenti della strada. Dobbiamo essere ambiziosi perché vogliamo arrivare a zero emissioni di carbonio entro il 2030”.

La Gran Bretagna ha l’obiettivo nazionale di raggiungere zero emissioni di carbonio entro il 2050, eppure voi nel 2018 avete fissato per Londra il raggiungimento dell’obiettivo nel 2030. Siete sicuri di riuscire a rispettare la scadenza del 2030?

“Bisogna essere ambiziosi, quindi penso che possiamo farcela ma, ad essere sinceri, non ce la faremo a meno di un maggiore sostegno da parte del governo nazionale e della devoluzione di poteri e risorse. Delle tre aree che ho menzionato, trasporti, case e luoghi di lavoro, abbiamo solo i poteri per gestire la maggior parte dei trasporti, non ho poteri reali sugli edifici, né sulle case né sui luoghi di lavoro. Non ho poteri sul fiume Tamigi, per esempio, quindi le barche lo risalgono e lo discendono usando il diesel proprio nel mezzo della città e non ho poteri per convincerle a essere più rispettose dell’ambiente. Se il governo mi devolvesse le risorse per un programma di rottamazione per incoraggiare le famiglie che possiedono veicoli diesel o a benzina ad abbandonarli, o le risorse per dare alle piccole imprese e agli enti di beneficenza un sussidio per abbandonare i veicoli inquinanti, tutto ciò farebbe una grande differenza. Il settore privato è davvero disponibile di arrivare a zero emissioni di carbonio e le aziende di tutto il mondo stanno venendo a Londra grazie al nostro programma verde, ma abbiamo bisogno del sostegno del governo per quanto riguarda le infrastrutture, per rendere i nostri autobus elettrici e per avere un numero sufficiente di punti di ricarica per i veicoli elettrici. E se il governo non investirà nell’adeguamento dei nostri edifici, non ci arriveremo mai”.

Lei ritiene che i governi nazionali abbiano perduto la sfida nei colloqui sul clima della COP (Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite) di Glasgow dello scorso anno. Che cosa le città vogliono che accada ai colloqui di quest’anno a Sharm el-Sheikh, in Egitto?

“A Glasgow c’è stato un vero e proprio scontro tra l’energia e l’innovazione del settore privato, delle città e dei sindaci e l’ostruzionismo, l’ondeggiamento e i ritardi all’interno della maggior parte dei governi nazionali, in particolare quelli del Nord globalizzato. Ciò di cui abbiamo bisogno nei prossimi incontri è che le Nazioni Unite e i governi nazionali lascino andare i poteri che detengono e coinvolgano altri soggetti in grado di dargli il supporto del quale hanno bisogno. Penso che potremo arrivare a zero emissioni di carbonio entro il 2030 e rimanere facilmente al di sotto degli 1,5 gradi di riscaldamento se i sindaci delle città e i cittadini avranno di avere più voce nelle future COP, in modo che non siano solo momenti di chiacchiere. Una delle cose più importanti che dobbiamo far capire è che il problema che abbiamo è in realtà un’opportunità. La famosa frase è che non bisogna mai sprecare una crisi. E la pandemia impallidisce come crisi di fronte a quella del cambiamento climatico. Se il mondo può unirsi per affrontare il Covid, perché non possiamo unirci per risolvere una crisi ben più grande, il cambiamento climatico”?

Da: London’s Mayor to U.N.: Make Way for the ‘Doers’, “The New York Times”, 29 giugno 2022

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