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Clima: allarme del FMI per i sussidi statali alle fonti rinnovabili. Più investimenti privati e nuove tasse

Photo by Marc-Olivier Jodoin on Unsplash

Una bolla? Non esattamente, ma al punto in cui siamo occorre prudenza. I sostegni alle energie rinnovabili a carico degli Stati possono mandare all’aria i bilanci. Già oggi i costi sono altissimi e se non si inverte la tendenza nel 2050 l’indebitamento pubblico sarà la metà del PIL. Il Fondo Monetario Internazionale ritiene che il settore privato non sia ancora entrato completamente nella partita per abbattere le emissioni di CO2.

Le politiche nazionali che vogliono combattere il cambiamento climatico sono al centro di strategie complesse e spesso inefficaci, come vediamo nei vertici mondiali. Nonostante tali incoerenze, un articolo sul prossimo Fiscal Monitor, che fa le analisi dei bilancio statali, gli economisti di Washington dicono che ” il settore privato dovrà colmare il grosso delle necessità di finanziamento sul clima”. I paesi che intendono impegnarsi su queste politiche fronteggiano un “trilemma”, ossia un conflitto tra ridurre le emissioni, far sì che i bilanci siano sostenibili e rendere operative le misure antinquinamento. “In altri termini, perseguire due di questi obiettivi avviene al prezzo di sacrificare parte del terzo”, affermano gli autori dello studio, riporta l’Agenzia Askanews.

Non viviamo in un mondo unito, ma per i paesi industrializzati bisognerebbe insistere sulla carbon pricing, per dare un valore economico alla CO2 da rispettare su scala globale. E’ la soluzione che sgonfia la bolla? No, perché una sola misura non è sufficiente a bloccare le emissioni. Peraltro, l’Europa già regola lo scambio di quote di emissione Ets con qualche apprezzabile risultato.

Pubblico e privato insieme, ma chi si impegna per il clima ?

Il sistema misto- soldi pubblici e privati- che nemmeno l’Onu è riuscito a far decollare, in teoria è il più giusto. Dal lato dei bilanci pubblici l’analisi del FMI sconta, però, la difficoltà di molte economie nell’organizzare con le industrie piani specifici di abbattimento delle emissioni. Inoltre, c’è anche la impraticabilità per milioni di imprenditori di spostare denari verso le rinnovabili quando ancora producono con le fonti fossili. Il problema climatico non è tra le loro maggiori preoccupazioni e Stati potenti lasciano correre. In altre parole, i finanziamenti privati auspicati dal FMI possono crescere solo in quei paesi dove il sistema economico ha raggiunto una maturità mediante le fonti fossili ed ora passa alle rinnovabili. Un ciclo si è chiuso ed un altro se ne apre, ma in tutti i Continenti la direzione di marcia non è univoca. Anche i sussidi pubblici ( 100 miliardi di dollari l’anno) promessi nelle ultime Cop sul clima non sono stati versati da nessuno. D’altronde non si fermano nemmeno le polemiche sul tassare gli extra profitti delle aziende energetiche senza avere idee chiare sulla destinazione finale. Il FMI parla di sostegni alle famiglie ma i soldi li metti da una parte o dall’altra.

Sulla carbon pricing gli economisti del Fondo scrivono che i ricavi “andrebbero condivisi in parte tra paesi per facilitare la transizione verde”. Una transizione giusta includerebbe trasferimenti fiscali a famiglie, lavoratori e comunità vulnerabili. Investimenti green addio ? Il prezzo del carbonio inquinante andrebbe anche integrato con altri provvedimenti per lo sviluppo di tecnologie a basse missioni. La conclusione è che il debito pubblico mediante misure miste, al 2050 si attesterebbe a 10 e 15 punti di PIL. Gli economisti di Washington non tralasciano nemmeno le stime di 2mila miliardi di dollari di investimenti all’anno dell’Agenzia internazionale per l’energia. Ma c’è una mappa aggiornata dei paesi che davvero sono contro il cambiamento climatico?

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Categories: Economia e Imprese