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“Civiltà perduta”: viaggio avventura con l’ossessione della scoperta

“La ricerca della bellezza è essa stessa una ricompensa” una delle frasi più significative del film “Civiltà perduta” appena comparso nelle sale cinematografiche. La storia, semplice ed essenziale quanto primigenia e fondamentale, ci parla del viaggio, della scoperta, del fascino dell’ignoto, della sfida ai luoghi comuni, dell’amore tra gli uomini, della natura e della cultura. Il film ci porta dritti al cuore delle riflessioni che ognuno, prima o poi, può aver fatto sul proprio destino, sulle scelte determinanti del proprio percorso di vita. 
 
La vicenda si snoda lungo la storia vera e la vita di Percy Fawcett che, partecipando ad una spedizione della Royal Geographical Society nei primi anni del secolo scorso, si imbatte nelle tracce di una antica civiltà sconosciuta. Era il periodo delle spedizioni artiche, della ricerca di nuovi passaggi in territori sconosciuti, di grande attenzione verso il nuovo, il diverso, verso mondi dove l’uomo non ha mai messo piede. 

 

Alla ricerca della sua gloria personale, piuttosto che per passione per la ricerca scientifica, Fawcett torna a Londra e riesce a promuovere una nuova spedizione per cercare di raggiungere quella che potrebbe essere la tanto cercata El Dorado, in questo caso chiamata Z. Il bacino pluviale del Rio delle Amazzoni si presenta come una sconfinata miniera di materie prime fondamentali per lo sviluppo economico del mondo occidentale e dovunque si scatena la corsa all’accaparramento. Nel frattempo, cresce nel mondo la sua fama di esploratore e il protagonista, l’attore Charlie Hunnam, organizza una ulteriore spedizione con maggiori mezzi e in compagnia del figlio maggiorenne. La foresta amazzonica e il grande fiume che lo attraversa da tempo hanno fornito al cinema spunti e importanti pellicole.

Ne ricordiamo alcune ma una su tutte merita ancora di essere rivista: “Fitzcarraldo” di Werner Herzog (1982) con le sue insuperabili immagini musicali riprese sul grande fiume. Come dimenticare la scena finale con l’orchestra sul battello sulle note di “A te o cara” di Bellini. Pochi anni dopo, nel 1985, appare nelle sale “La foresta di smeraldo” di John Boorman; nel 1988, viene presentato “El Dorado” di Carlos Saura, non meno avvincente ma inferiore rispetto a chi lo ha preceduto. Sullo stesso filone amazzonico, per chi lo avesse perso, trova un giusto posto “Un giorno devi andare” del regista Giorgio Diritti, un piccolo gioiello di cinema italiano (“bisogna andare lì dove le cose accadono” frase centrale della protagonista, l’attrice Jasmine Trincia). 

“Civiltà perduta” ripropone in modo sufficiente un modello di film che può soddisfare gli appassionati del genere. Spesso sembra indulgere più sul versante dei sentimenti piuttosto che sull’avventura e questo toglie molto spazio agli altri temi importanti del film. Il ritmo narrativo non è proprio incalzante (durata oltre 140 minuti) e spesso si intravvedono grossolani errori di sceneggiatura (come è possibile risalire un fiume contro corrente su una zattera di bambù, senza remi e senza motore?). 
 
Il film – girato in pellicola 35 mm, sempre apprezzata per la resa cromatica più calda ed avvincente – viene presentato all’inizio della stagione estiva che, notoriamente, non è tra le migliori per le fortune al botteghino. Nell’offerta cinematografica di questi giorni merita il biglietto.

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Categories: Cultura