‘’La Cisl si dissocia da quanto detto in conferenza stampa da Bombardieri e Landini: noi ci dissociamo da quanto affermato da Luigi Sbarra nelle ultime interviste’’. Questo è il clou dell’appello sottoscritto da un centinaio di ex dirigenti della Cisl per dissociarsi dalla linea di condotta tenuta dalla confederazione di via Po a proposito della manovra di bilancio e dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil il 29 novembre. In particolare il dissenso si rivolge al giudizio sui contenuti del disegno di legge di bilancio‘’.
Le interviste del segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, a cui segue l’eco degli organismi statutari nazionali, affermano che con la manovra 2025 “le nostre priorità diventano risultati”. La nostra valutazione è ben diversa e di segno opposto: è vero che la manovra destina miliardi, i 2/3 del totale, per mantenere il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento di due tariffe Irpef, ma sostenere che “ questo da solo garantirà un aumento fino a 1.200 euro annui sulle buste paga di oltre 15 milioni di lavoratori..” è una forzatura non veritiera, una bugia perché non ci sarà un aumento in busta paga ma si è evitato un taglio degli aumenti ottenuti con le precedenti manovre (Draghi e Meloni).
Nel contempo viene criticata dai dissidenti la scelta di non proporre, a salvaguardia dell’unità d’azione, assemblee unitarie sui luoghi di lavoro e dopo manifestazioni di piazza, anche per spostare l’opinione dei lavoratori verso la solidarietà anziché seguire il richiamo delle politiche neo-corporative governative – e ultima ratio lo sciopero; tutto ciò significherebbe – secondo gli aderenti all’appello – non vedere il conflitto sociale che esiste in una società complessa, e non tenere conto dei conflitti che animano gli interessi economici e politici dell’attuale maggioranza di Governo.
Pezzotta: La Cisl deve fare uno sforzo maggiore per ritrovare l’unità
Savino Pezzotta – già segretario generale della Cisl e presumibilmente ispiratore della iniziativa dell’appello – ha aggiunto a latere un sovraccarico di critiche ‘’personalizzate’’ rivolte segnatamente contro Luigi Sbarra. E sottolinea: “La Cisl deve fare uno sforzo maggiore per ritrovare l’unità, almeno di azione, con Cgil e Uil, perché i problemi a cui stiamo andando incontro, come la questione climatica, la questione industriale, il salario che non aumenta, la questione della sanità richiedono il massimo di unità del movimento sindacale italiano. Il dissociarsi e il distaccarsi dicendo che le cose del governo vanno bene non ci convince. Quindi, invitiamo la nostra organizzazione a trovare un punto d’accordo con le altre confederazioni – ha continuato Pezzotta –. La nostra idea di sindacato è quella di una Cisl che punta all’unità del movimento sindacale e lo ribadiamo in questa occasione, anche perché la politica di questo governo non ci piace e non ci convince. La Cisl non è mai stata vicina ai governi di destra“.
Poi, non pago, Pezzotta ha rincarato: “Quello che non si capisce è perché con l’attuale dirigenza la Cisl non si unisca mai a Cgil e Uil su cose che toccano i diritti dei lavoratori o su mobilitazioni relative ai diritti di libertà. Non capisco perché la Cisl non aderisca alle iniziative per la pace. Io sono iscritto, pago le mie quote mensili e vorrei sapere il perché. Qualcuno dice che quello di oggi era uno sciopero politico, ma mi devono spiegare quali sono gli scioperi non politici. È nella natura dello sciopero essere un’azione politica, soprattutto uno sciopero generale“. Certamente il venir meno dell’unità d’azione tra le grandi confederazioni storiche è un aspetto negativo. Ma chi ne porta la responsabilità? Sono almeno quattro anni che Cgil e Uil predispongono le condizioni con largo anticipo per programmare uno sciopero generale nel contesto della sessione di bilancio, prima ancora che i governi mettano a punto le loro proposte. Tanto che uno strumento epocale come lo sciopero generale si è trasformato in una sorta di festa del Santo Patrono, di cui si conosce la data e sono consueti i preparativi. Qualcuno può sostenere che le considerazioni di Luigi Sbarra non rispondano ad una logica prettamente sindacale? Leggiamo le sue dichiarazioni sul ricorso compulsivo allo sciopero generale: “Una deriva che non ci piace, potenzialmente pericolosa. Se guardiamo ai toni e alle parole d’ordine della protesta di ieri si fa veramente fatica a non darle una colorazione ideologica”. Il conflitto ci può stare, l’antagonismo no. Quella del Governo Meloni, poi, “non è una manovra da sciopero generale”. La Cisl si batte per “un dialogo costruttivo e concertativo tra governo e parti sociali responsabili”, e i risultati, per il capo della Cisl, si vedono.
In effetti che vi sia stata in questa vicenda un’esagerazione nei toni e nelle parole d’ordine è sotto gli occhi di tutti. E’ nostra premura riprendere le considerazioni esposte in un articolo su Il Diario del Lavoro da Luigi Marelli (esperto di relazioni industriali) sul significato delle parole rivolta e conflitto sociale: ‘’ Sembrerebbero due sinonimi – ha scritto Marelli – ma non lo sono. L’uno indica una condizione endemica, inestinguibile, per fortuna, caratteristica delle “società aperte”, in cui la regolazione dei diversi interessi avviene attraverso la negoziazione degli stessi. Il conflitto sociale, nelle società moderne, si è evoluto all’interno di regole abbastanza precise, innanzitutto, relative alla rappresentanza stabile di questi interessi, poi in seguito al concetto di delega senza vincolo di risultato, infine alla negoziazione attraverso processi di mediazione, più o meno determinati anche dai rapporti di forza in campo. Insomma il conflitto sociale è connaturato alle società moderne democratiche ed evolute, ha le sue regole, e per quanto possa essere molto intenso, come capita in diversi casi, non ultimo l’attuale vertenza per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, esso non può mai perdere di vista un eventuale accordo tra le parti, il mancato accordo sarebbe una sconfitta, non una vittoria per i diversi interessi in campo. In questo senso l’apertura di un conflitto sociale presuppone sempre la trattativa e l’esito della stessa, verificato, sulla base delle regole del mandato irrevocabile dato ai negoziatori, ne è la misura del suo successo o del suo fallimento. Non è mai solo una prova di forza muscolare, non è mai l’avvio indistinto e senza prospettive di una rivolta. Le parole hanno un significato preciso.
Anche nelle ore più buie, le forze sociali organizzate hanno saputo mantenere precisi obbiettivi per i conflitti che aprirono. Se qualcuno ricorda gli scioperi di Milano del 1943, in piena guerra, e in pieno regime nazi-fascista, se qualcuno rivede quelle foto, trova in esse un senso di disciplina e di consapevolezza della forza messa in campo, dalla quale dipendeva l’esito del conflitto e l’autorevolezza di chi l’aveva proposto. Persino in quel caso la piattaforma era chiara e non riferita a generici obiettivi di insoddisfazione sociale. Insomma – conclude Marelli – il conflitto sociale non è sinonimo di rivolta sociale, esso aborre lo spontaneismo, rifugge dalla generica insoddisfazione, non è una fiammata di disperazione, è la lenta paziente costruzione di una organizzazione, di una piattaforma di rivendicazioni, alla quale segue sempre un faticoso negoziato e, non in sporadici casi, sofferte mediazioni. Perché il problema vero di uno sciopero generale non è se esso riesce o meno, ma soprattutto è cosa succederà il giorno dopo’’.
E sono almeno 4 anni in cui il giorno dopo è uguale a quello precedente. Nelle stesse ore in cui si organizzavano le manifestazioni, la Commissione Ue promuoveva la manovra per il 2025: non ci poniamo neppure la domanda su cosa sia stato più significativo, se lo sciopero o il placet di Bruxelles, perché la risposta è ovvia e suona come una campana a morto per Cgil e Uil. Poi, se scorriamo i nomi dei firmatari ci imbattiamo in carriere sindacali costruite su accordi separati, con una sola differenza: ‘’i tedeschi si sono alleati con gli americani’’(ovvero la Uil è passata al servizio della CGIL) come telefona al Comando nella confusione dell’8 settembre 1943, il sottotenente Alberto Innocenzi nel film ‘’Tutti a casa’’.
Gli accordi separati sono nel dna della Cisl e della Uil nell’immediato dopoguerra quando la Cgil era pregiudizialmente contro i governi centristi nel contesto della grande riconversione industriale che portò al ‘’miracolo economico’’. Ma non c’è bisogno di tornare agli anni ’50. Anche in tempi più recenti la Cgil da un lato, la Cisl e la Uil dall’altro si ritrovarono su fronti diversi, senza che venissero effettuate quelle assemblee e quelle iniziative unitarie e reciprocamente solidali reclamate oggi dai dissidenti cislini: dagli accordi di San Valentino del 1984, fino ad una serie di accordi interconfederali sull’assetto della contrattazione e la rivalutazione delle retribuzioni all’inflazione (quell’IPCA oggi biasimata nell’appello) che, nel primo decennio del secolo, vennero sottoscritti senza la Cgil.
Anzi Savino Pezzotta fu uno dei prncipali protagonista dell’accordo separato del 2 luglio 2022 con il governo Berlusconi (a proposito di governi di destra ora aborriti) pomposamente definito ‘’Patto per l’Italia’’. Tutto ciò dopo che la Cgil il 23 marzo aveva promosso quella che venne definita la più grande manifestazione della storia italiana, con tre milioni di partecipanti (arringati ‘’capelli al vento’’ da un Sergio Cofferati in grande spolvero) al Circo Massimo di Roma contro il terrorismo (il 19 marzo le Nuove Brigate Rosse hanno assassinato Marco Biagi) e per i diritti di cui all’articolo 18 dello statuto del 1970. Poiché tra i firmatari dell’appello Pezzotta vi sono molti ex dirigenti della Fim Cisl, è appena il caso di ricordare i rinnovi contrattuali separati non sottoscritti dalla Fiom-Cgil fino alla vertenza di Pomigliano d’Arco quando la federazione dei metalmeccanici della Cgil contraria all’intesa fu sconfitta nel referendum.
La Cisl in tutte queste occasioni di scontri e di polemiche si trovò sempre dalla parte giusta. Come lo è oggi, l’organizzazione diretta da Luigi Sbarra. Quanto alla mancata adesione (incomprensibile per Savino Pezzotta) alle iniziative per la pace, la Cisl si attiene alla vocazione della libertà che va difesa anche con le armi.