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Circolo Ref Ricerche – Troppa liquidità, poco credito

Al G20 di Washington (giovedì 18 e venerdì 19 aprile 2013), si è parlato di un mondo-a-tre-velocità: sono tornati a crescere i Paesi emergenti; va meglio del previsto l’America; mentre soffre l’Europa. Tutti gli ultimi dati hanno confermato questo scenario, che possiamo quindi considerare lo scenario di base per quest’anno.

Nel suo ambito, ci sono diversi problemi ed alcuni rischi (basti ricordare gli eccessi monetari del Giappone da un lato e il rinvio della manovra di riduzione del debito USA dall’altro). Ma c’è un punto che, a prima vista sorprende, ma poi suscita più dubbi che speranze. Ed è un problema di cui tuttora mancano spiegazioni attendibili. Ci riferiamo ai conti delle imprese americane, che sono oggi caratterizzati da due aspetti:

1. il ritorno a tassi di profitto elevati (con una riduzione del costo del lavoro per unità del prodotto, cioè destinando ai profitti tutti i guadagni di produttività);

2. un significativo aumento della liquidità nei dati patrimoniali delle imprese stesse: i profitti non vengono investiti nella produzione, ma tenuti in forma liquida.

Di questo secondo aspetto – che ha assunto rilievo crescente negli ultimi anni – sono possibili due alternative spiegazioni, ma per ora nessuna analisi rigorosa è stata pubblicata (in realta’, il tema era stato già affontato dal FMI – vedi IMF 2006 – con riferimento al passato, ed anche Bruxelles un anno fa – vedi EC 2012 – aveva discusso degli aggiustamenti di portafoglio delle imprese).

La prima spiegazione – tranquillizzante – riguarda la gestione, precauzionale, delle “scorte”: è una tendenza che dura da anni e porta le imprese a ridurre i magazzini fisici (di materie prime, componenti, beni finiti), recuperando la necessaria flessibilità con equivalenti attività liquide. Tutto ciò significa anche una gestione più redditizia: le scorte tenute una volta erano solo un costo, quelle odierne hanno seppur basso, un rendimento positivo.

La seconda spiegazione – preoccupante – è questa: le imprese tengono liquidità perché non sanno quando, come, e dove, investire. In altre parole, rinunciano a finanziare la necessaria futura crescita, e quindi non l’avranno.

A questo punto, è chiaro che essendoci indizi sia per l’una che per l’altra spiegazione, la verità sarà probabilmente data da una qualche media (ponderata?) delle due. Non è indifferente avere una risposta, perché diverse sono le conseguenze che ne derivano: non solo cambiano le prospettive di crescita di lungo periodo dell’economia, ma cambia anche la dimensione della exit strategy della Fed. Se vogliamo più liquidità, …serve una Banca Centrale più grande (in termini di dimensione del suo bilancio).

Colpisce comunque il contrasto con l’Eurozona. Qui non abbiamo dati medi comparabili con quelli USA. La politica monetaria è permissiva, ma la profittabilità media delle imprese non è molto aumentata. E più che di “eccessiva liquidità” ancora si discute di “credito scarso” (un problema di cui ci siamo occupati più volte su queste pagine, come nelle analisi del 15 gennaio e del 13 marzo 2013, e nell’articolo “Una Finanza per lo Sviluppo” pubblicato in bacheca ).

Ovviamente c’è molta varianza, e le imprese di successo sono tornate a investire più che ad aumentare le loro scorte di liquidità. Ma nel complesso dell’Eurozona, non sembra che si sia accumulata liquidità in eccesso. Probabilmente perché la BCE si è limitata a ripristinare quella che l’Eurozona “perdeva” nei confronti del resto del mondo. Peccato che il resto del mondo non ricambi… finanziando le nostre PMI!

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