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Circolo Ref Ricerche – Non è l’euro la causa della crisi dell’industria

Il dominio innanzitutto culturale e politico della finanza, negli ultimi vent’anni – nei suoi pregi come nei suoi difetti – continua a impedirci di capire le implicazioni di più lungo periodo della crisi dell’Eurozona.

La stessa sua prevalente etichetta: “Crisi dei debiti sovrani”, ha significato concentrare l’attenzione sugli aspetti finanziari: debiti, privati e/o pubblici, eccessivi; conseguenti spreads punitivi; necessità di interventi monetari espansivi (BCE), in alternativa a restrizioni fiscali (“austerità”) controproducenti. Al di là dell’emergenza, non è questa l’analisi più utile dei problemi, e relativi rimedi, della crisi dell’Eurozona, che resta irrisolta ormai da tre anni, ma a ben guardare era già iniziata prima.

Ogni tanto, anche di recente (vedi G. Vaciago, L’Eurolandia futura c’è già (e si fonda sul lavoro)) qualcuno si accorge che la crisi dell’industria, e dell’occupazione, caratterizza solo una parte dell’Eurozona. Ne ricava un’ulteriore condanna della sbagliata “politica di austerità, che ci viene imposta dalla Germania” (vedi Un euro da ricostruire). O l’ennesima critica all’idea stessa della moneta unica, che ci ha portato a questa tragedia: non si può aumentare il debito pubblico, proprio adesso che sarebbe più utile!

In realtà, se guardiamo i fatti, l’analisi corretta è diversa e ben altri sono i motivi di preoccupazione. Se esaminiamo il grafico che rappresenta l’andamento della produzione industriale nei dieci maggiori Paesi dell’Eurozona, negli ultimi quindici anni, vediamo molto bene che la situazione è strutturale e più grave. Già prima della “crisi dei debiti sovrani”, l’industria cresceva di più in alcuni Paesi che in altri. Come nel caso degli spreads, ma in modo molto diverso e di lungo periodo, la Germania fa da benchmark (o da hub): ci sono Paesi che si vanno de-industrializzando, ed altri dove viceversa la specializzazione industriale cresce.

Problema: è solo questione dei vincoli posti a deficit e debito pubblico? Oppure, si deve assumere che alcuni Paesi più di altri abbiano saputo “guadagnare dall’Euro”? Ma soprattutto, come si correggono queste tendenze? Uscire dall’Euro sarebbe una possibile soluzione? La risposta più saggia a tutte queste domande è probabilmente una sola: sarebbe opportuno fare politiche industriali – nel senso di dare esplicite priorità alla re-industrializzazione, cominciando dal fisco, …certo non inventando piani quinquennali, in stile sovietico.

Se non si correggono, le tendenze in corso peraltro conformi alla teoria dei “vantaggi comparati”, che la moneta comune rafforza – stanno a significare che all’interno dell’Europa si accentua una specializzazione di questo tipo: l’industria è tedesca!

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