Nelle scorse settimane è stato al centro del dibattito politico e delle attenzioni mediatiche, ora Cipro dovrà applicare l’accordo trovato, dopo prolungate trattative, con la Troika.
La crisi cipriota trova le sue basi in un doppio sbilanciamento del sistema economico dell’isola. Infatti, non solo l’intera economia cipriota si basa quasi esclusivamente su due settori, quello turistico e quello finanziario, ma addirittura il secondo ha raggiunto dimensioni incontrollabili superando di quasi 5 volte il PIL del Paese (rapporto simile a quello irlandese).
Gran parte dell’espansione del settore finanziario è dovuta allo status di centro offshore che il Paese ha assunto riuscendo ad attirare in questo modo ingenti capitali da Russia e paesi dell’area CSI. La notevole mole di liquidità presente nel sistema bancario cipriota è stata per lo più investita in titoli di stato greci.
L’avvio della crisi cipriota è quindi direttamente collegato all’accordo siglato dalla Grecia nel febbraio dello scorso anno (Private Sector Involvement; PSI) con il quale gli investitori privati hanno accettato una decurtazione del 53,5% del valore facciale dei titoli di stato greci sottoscritti.
Ciò ha portato ad un deterioramento della situazione patrimoniale degli istituti bancari ciprioti con la necessità di ricapitalizzare fortemente l’intero settore.
Questa situazione ha spinto Cipro a richiedere l’intervento dell’Unione Europea che a metà marzo ha emesso una proposta di salvataggio che però è stata rigettata dal Parlamento cipriota in seguito ad una serie di protese sia da parte della popolazione cipriota sia da parte del Governo russo (contrariato dalla proposta di tassazione dei depositi). Dopo lunghe trattative si è giunti all’accordo finale che prevede un prestito da parte della Troika di 10 miliardi di euro vincolato al completamento di una serie di interventi, alcuni specifici per il settore finanziario ed altri “classici” dei pacchetti di austerity imposti a tutti i Paesi in difficoltà nell’area, quali:
- ristrutturazione della Bank of Cyprus (prima banca del Paese) e chiusura della Laiki Bank (seconda banca);
- aggiustamento degli squilibri fiscali di breve periodo;
- riforme strutturali con effetti a lungo termine (sistema previdenziale, privatizzazione imprese pubbliche)
Il Governo cipriota dovrà invece raccogliere circa 6 miliardi di euro, e la strada scelta è quella della tassazione dei depositi bancari con giacenza superiore ai 100 mila euro. Oltre a queste misure il Paese ha preparato una serie di restrizioni ai movimenti finanziari con l’estero per evitare, quantomeno limitare, i rischi di fuga di capitali dal paese.
L’imposizione, per l’ennesima volta, di misure di austerity collegate all’erogazione del prestito da parte della Troika pregiudica l’uscita di Cipro dalla situazione di crisi, rischiando invece di aggravare gli effetti che l’instabilità del settore finanziario sta causando all’economia reale.
Il “salvataggio” di Cipro ripropone il problema delle strategie che il governo comunitario vuole applicare per risolvere questa situazione: soluzione di sistema o riproposizione di accordi con un focus di breve periodo?
Nel Focus di SACE si fa riferimento alle possibilità di contagio e si indica anche il dove potrebbe accendersi il nuovo focolaio, in Slovenia. La recessione (-2,3% nel 2012), gli squilibri presenti nel sistema bancario e le difficoltà fatte registrare nelle aste dei titoli di Stato sloveni, dimostrano che se non verrà trovata al più presto una soluzione comune in grado di eliminare alla radice questa instabilità, il prossimo stato nell’occhio del ciclone potrebbe proprio essere la Slovenia.
Il Focus On completo è disponibile a questo indirizzo.