Cipro è in piena crisi politica, oltre che energetica ed economica. Questa mattina, il presidente Dimitris Christofias ha chiesto ai ministri del governo in carica di dimettersi in blocco. Il ministro della Difesa ed il capo dell’esercito si erano già dimessi l’11 luglio, ora, sotto la spinta delle proteste popolari, si dimette l’intero consiglio dei ministri. Il presidente resta invece in carica allo scopo di formare un nuovo esecutivo di centro-sinistra: “Il popolo mi ha eletto, ed è al popolo che devo rendere conto. Non ai media”, ha dichiarato ai giornalisti.
Due settimane fa, l’esplosione del deposito di munizioni interno alla caserma Evangelos Florakis, sulla costa meridionale dell’isola, ha danneggiato la principale centrale elettrica del paese, facendo 12 morti. Sulla vicenda è in corso un’inchiesta, tuttavia non servirà certo attenderne l’esito per misurarne l’impatto sull’economia nazionale, che è già ben chiaro oggi: il costo dei danni dell’esplosione e dei conseguenti tagli all’energia è stimato tra 1 e 3 miliardi di euro, cifra pari al 17% del Pil di Cipro. A seguito dell’incidente, i rendimenti dei bond nazionali sono cresciuti fino al 9,5% per i titoli decennali, ed è di ieri la notizia che Moody’s ha declassato il rating di Cipro di due livelli, fino a Baa1, appena tre gradini sopra l’indicazione dei titoli “spazzatura”.
La settimana scorsa il governatore della banca centrale cipriota e consigliere Bce, Athanasios Orphanides, ha detto che senza un immediato intervento il Paese potrebbe essere il prossimo, dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, a chiedere un aiuto finanziario da parte dell’Unione monetaria. Il portavoce del governo non ne è certo: “Al momento attuale, Cipro è in grado di soddisfare i suoi bisogni finanziari fino alla fine dell’anno. Quindi non è scontato che Cipro debba essere ammessa in un programma di sostegno”.