L’Italia, che non riesce ancora a uscire dalla crisi finanziaria globale, ha bisogno di tante cose, tranne che di un clima teso nelle relazioni industriali. Con una disoccupazione elevata, con i giovani che non trovano lavoro, con le imprese che hanno carenze di domanda, non c’è proprio ragione di avere tensioni di carattere sindacale. Eppure ci troviamo con un forte scontro nella Fiat, dove l’impresa non riesce ad applicare un accordo votato dalla maggioranza dei lavoratori. E ora si apprende che, alla vigilia della contrattazione con l’ABI, la UIL ha disdettato l’accordo del 1993 per evitare di ripercorrere i criteri di rappresentanza sindacale previsti da quell’accordo.
In realtà nel paese non c’è nessuno scontro tra imprese e lavoratori. Ne potrebbe essere altrimenti, viste le brutte condizioni della nostra economia, dove sia le imprese che i lavoratori cercano la via per sopravvivere. C’è invece uno scontro tra i sindacati dei lavoratori, con CGIL da una parte e CISL e UIL dall’altra. E ci sono le interferenze del Ministro del Lavoro che parteggia apertamente per CISL e UIL, vagheggiando un ritorno all’epoca della spaccatura dell’accordo di San Valentino dell’ormai trapassato 1984.
Il clima di scontro tra i sindacati è così acceso che sembra impossibile metterli allo stesso tavolo. Eppure un accordo è necessario. Non tanto per trovare un nuovo sistema di relazioni industriali, ciò che appare impossibile con le attuali posizioni. Ma almeno per accordarsi sulla rappresentanza dei sindacati dei lavoratori, quando vanno a firmare accordi. Poiché appare ormai certo che una parte non trascurabile dei prossimi accordi vedrà una spaccatura sindacale, è necessario trovare un sistema che stabilisca quando un accordo sia ritenuto valido per tutti i lavoratori, perché firmato dai rappresentanti della maggioranza dei lavoratori stessi.
Portare tutto a referendum dei lavoratori dopo defatiganti negoziati tra le parti, come si è fatto nel caso Fiat, non sembra essere la soluzione migliore. Si finirebbe per delegittimare i sindacati e per trasferire in ogni settore e in ogni azienda le tensioni che accompagnano la stipula di un contratto. È quindi necessario che i sindacati, prima del negoziato, possano provare attraverso il numero degli iscritti la loro reale rappresentanza. E se non c’è accordo sui criteri di rappresentanza, questo è il caso in cui il Governo deve intervenire con una legge per imporre un criterio semplice, che potrà poi essere sostituito quando e se i sindacati avranno trovato un diverso accordo. In questo senso il senatore Pietro Ichino aveva presentato, nel 2010, una proposta che ha avuto anche l’avallo della Commissione Lavoro del Senato. Si potrebbe pertanto partire da questa proposta per definire la rappresentatività dei sindacati. Se poi questi ultimi, assieme alla Confindustria, sapranno trovare un accordo che reputano migliore, questo potrà essere recepito dalla legge, come la stessa proposta di Ichino suggerisce.
Con tutti i problemi del nostro paese, sarebbe utile disinnescare questa mina che sta producendo tensioni sociali di cui veramente non si sente il bisogno.
*Economista, presidente di Ubs Italia e dell’Università di Trento.