Giandujotti, ma non solo. Anche sperimentazione di nuovi sapori, attenzione alle materie prime e alla sostenibilità, e tanta voglia di crescere all’estero, con il sogno nel cassetto di aprire un negozio in una capitale europea. E’ la storia di Guido Gobino, notissimo chocolatier torinese, che nella città italiana più nota per il cioccolato porta avanti una missione di famiglia: nel 1964 il padre Giuseppe diventa responsabile di produzione di una piccola fabbrica di via Cagliari, dove vengono confezionati cioccolatini e caramelle per conto terzi. Nel 1980 Giuseppe Gobino diventa titolare della fabbrica, che diventa negli anni ’90 “Laboratorio Artigianale del Giandujotto” e poi, sotto la guida di Guido, un negozio dove artigianato e modernità si fondono per offrire la più alta qualità. Nel 2007 il percorso si consolida con l’apertura della Bottega in via Lagrange, proprio nella zona più centrale e monumentale della città di Torino. “L’uma sempre fait parej”, l’abbiamo sempre fatto così, recita il sito Internet, a confermare una tradizione e una passione che vanno avanti da oltre 50 anni. E che Guido Gobino ha deciso di raccontare a First&Food.
Signor Gobino, artigianato e globalizzazione spesso non vanno d’accordo, eppure la sua bottega vende in tutto il mondo. E’ l’eccellenza, più che la grande distribuzione, a promuovere al meglio il made in Italy?
“E’ l’unica strada che abbiamo, perché a fare la differenza è la qualità. Quello che viene chiesto, soprattutto all’estero, quando si parla di made in Italy, è l’autenticità e la qualità del prodotto, che sia cioccolato o altro. Il made in Italy è noto e apprezzato in quanto prodotto di eccellenza”.
Tuttavia, le vetrine più mainstream sono un veicolo fondamentale. Che importanza ha avuto per una boutique come la vostra la possibilità di entrare nel bazar di Eataly?
“Eataly è stata davvero una grande opportunità, sia per la vetrina che ha dato a produttori come noi in Italia (tra l’altro il primo negozio ha aperto proprio qui a Torino), che per la visibilità che abbiamo avuto all’estero, dal Brasile agli Usa, dal Giappone al Medio Oriente. Eataly è stata una grande idea perché ha permesso a piccoli imprenditori, produttori di eccellenze, di arrivare al grande pubblico”.
Nel food, come in altri settori, va sempre più di moda “l’esperienza” nella quale coinvolgere il consumatore, più che il solo prodotto. Lo abbiamo visto per il caffè, con il concept del nuovo store di Starbucks a Milano ma anche del flagship store Lavazza. Voi organizzate visite e esperienze personalizzate? Come può evolvere in questo senso il mercato del cioccolato?
“Sì, già da tempo organizziamo le visite nel nostro laboratorio di produzione di Torino, tutte le mattine dal lunedì al venerdì. E’ possibile prenotarsi sul nostro sito. E a proposito di caffè, proprio con Lavazza abbiamo dato vita a un connubio all’insegna del gusto: da un anno nel loro store di Milano, oltre alle pregiate miscele di caffè presentate al cliente, è possibile degustare delle speciali selezioni di cioccolatini artigianali create appositamente per questo tipo di ‘esperienza’. In generale credo che per i piccoli produttori come noi, che non hanno la possibilità di fare grandi campagne comunicative e pubblicitarie, sia fondamentale l’educazione del consumatore al gusto, al riconoscere la qualità e il profilo sensoriale del cibo. Il cliente deve imparare a degustare e ad analizzare il cioccolato usando i propri sensi, che in definitiva sono quelli di cui si fiderà di più. Poi dopo potrà decidere se spendere meno per un prodotto di un certo tipo, o di più per un prodotto di alta qualità. L’educazione al gusto è nata con SlowFood negli anni ’90”.
L’Italia ha una grande tradizione nel cioccolato, ma deve vedersela con la concorrenza di altri Paesi, come la Francia. A che punto siamo nella considerazione internazionale, e come possiamo migliorare?
“Non abbiamo nulla da invidiare ai francesi, che infatti ci rispettano, ma potremmo fare molto di più, e non solo sul cioccolato. Basti pensare che, sempre alla pari dei francesi, siamo i migliori produttori di vino di qualità al mondo, eppure ogni volta che vado nelle enoteche all’estero trovo poche etichette italiane e moltissime francesi. Il problema è sempre quello: loro si vendono meglio, sono maestri di comunicazione. E così anche nel cioccolato: noi siamo conosciuti per la Nutella, ma in pochi sanno che siamo in grado di fare dell’ottimo cioccolato artigianale. Il made in Italy funziona quando è legato a grossi brand, come quelli della moda e del lusso, penso ad Armani, alla Ferrari; in altri casi talvolta passiamo per produttori di seconda fascia. Ma non lo siamo affatto”.
Quali sono oggi i mercati più interessanti per il cioccolato di alta qualità? Dove avete riscontrato maggiore interesse per il prodotto made in Italy?
“Un po’ ovunque nel mondo, ma se devo scegliere un Paese scelgo il Giappone che, soprattutto nel mio settore, nutre una profonda passione e un grande interesse per il prodotto italiano. Il consumatore giapponese è sempre più competente e direi sempre più esigente”.
A proposito di internazionalizzazione: la vostra bottega è legata alla città di Torino ma presente anche altrove in Italia, e vendete prodotti in tutto il mondo. State pensando di aprire negozi all’estero, e se sì dove?
“L’intenzione c’è, anche se non è facile perché ci sono dei costi. Noi siamo una realtà completamente indipendente, non abbiamo dietro dei grandi gruppi come invece hanno altri produttori artigianali, per cui bisogna ponderare bene le scelte. Per iniziare mi piacerebbe una capitale europea: magari Parigi, anche se sfidare i francesi in casa loro è dura, oppure Londra, Berlino, Monaco di Baviera”.
Materie prime: da dove importate principalmente il cacao e quali sono, a suo avviso, le aree del mondo dove trovare le materie prime di migliore qualità?
“Il cacao di qualità migliore è quello del Venezuela. Poi ci sono altri Paesi dell’America Latina come la Colombia, l’Ecuador, il Perù e il Messico, dove abbiamo adottato nel 2014 un presidio SlowFood nella regione di Chontolpa. Lì abbiamo un contatto diretto con i contadini, con i quali stiamo facendo un gran lavoro e presto rinnoveremo l’accordo per altri quattro anni. Recentemente abbiamo provato un nuovo cacao dalla Tanzania, che si è rivelato interessante”.
Quali sono le attenzioni che la sua azienda dedica al tema della sostenibilità ambientale?
“Oltre all’accordo con SlowFood, compriamo da 20 anni le nocciole dalle aziende delle Langhe piemontesi, con le quali abbiamo un contatto diretto e che ci garantiscono la massima qualità e sostenibilità del prodotto. Per quanto riguarda lo zucchero, dopo la scomparsa di Eridania è nata una nuova azienda tutta italiana, una cooperativa che raduna 1.000 produttori di zucchero da barbabietola nella zona di Rovigo. Si tratta di Italia Zuccheri e stiamo per chiudere un accordo anche con loro. Il tema dello zucchero è importante, perché lo zucchero di canna arriva dall’estero, dove spesso fanno lavorare nei campi i minori e il tasso di mortalità è molto alto, a causa dell’utilizzo del machete per tagliare le piante. Uno zucchero italiano ci costerà sicuramente di più ma è uno sforzo che faccio volentieri. Non è autarchia, ma ricerca della qualità: e se c’è qualità in Italia, va premiata. Così come per il latte: usiamo quello in polvere di InAlpi, azienda locale piemontese che garantisce allevamenti sostenibili e un equo prezzo corrisposto agli allevatori. E’ un modo per dipendere di meno dal latte estero e per sostenere l’agricoltura italiana. Anche pagando di più”.
Anche nel mercato del cioccolato si è diffusa negli ultimi anni una tendenza pseudo salutista, influenzata dal veganismo e dal crudismo. Va di moda, ad esempio, il cosiddetto cioccolato crudo. Ci può spiegare in che cosa consiste e se è davvero così sano e rispettoso dell’ambiente?
“Si tratta sostanzialmente di fave di cacao che non sono state tostate all’origine bensì essiccate al sole per diversi giorni, pertanto a una bassa temperatura di lavorazione per non alterare, secondo i suoi sostenitori, le qualità nutrizionali del cacao. Ma non c’è nessun supporto scientifico a questa tesi. Anzi un recente studio ha dimostrato proprio il contrario, che un cacao lavorato tradizionalmente mantiene più alte le sue proprietà. Senza contare che bisognerebbe valutare se il cacao, certificato come biologico secondo gli standard, è veramente tale”.
Chiudiamo parlando di sapori e di nuove tendenze: quali sono le vostre specialità storiche? E quali nuovi abbinamenti state sperimentando per i prossimi mesi?
“Da torinesi non potevamo non essere specializzati in giandujotti. Un anno fa, in occasione dei 10 anni dell’apertura della nostra bottega di via Lagrange, nel centro di Torino, abbiamo lanciato il Tourinot n.10, il Giandujotto Tourinot in formato mignon da 5 g, che unisce la morbidezza della Nocciola Piemonte IGP al cioccolato fondente. Nella stagione estiva un prodotto cult è lo Stik, un ghiacciolo artigianale che proponiamo in diverse varietà di cioccolato oltre che i gusti alla frutta di stagione. A proposito di stagione, ora siamo in autunno ed è il periodo della zucca, che come ogni anno utilizziamo – selezionando la materia prima tra le eccellenze del territorio – per confezionare cioccolatini ma anche macarons. Per quanto riguarda un nuovo sapore in cantiere, per il 2019 scommetterei sul cioccolatino al cioccolato bianco, zenzero e salvia”.
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