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Ciocca: la povertà si sconfigge solo con la crescita

“Il superamento della recessione e il ritorno dell’economia mondiale su un sentiero di crescita stabile rappresentano la condizione senza la quale sarebbe arduo ingaggiare la lotta alla povertà e contenere la diseguaglianza”: è quanto sostiene Pierluigi Ciocca, già Vicedirettore generale della Banca d’Italia, nel suo nuovo libro “Ricchi e Poveri. Storia della diseguaglianza” – Considerazioni che fanno riflettere e che sono dense di implicazioni economiche e politiche

Ciocca: la povertà si sconfigge solo con la crescita

Se, come è augurabile, la pandemia di Covid verrà posta sotto controllo, allora “il superamento della recessione e il ritorno dell’economia mondiale su un sentiero di crescita stabile rappresentano la condizione senza la quale sarebbe arduo ingaggiare la lotta alla povertà e contenere la diseguaglianza”. Insomma, la decrescita felice è una sonora sciocchezza, così come è velleitario sconfiggere la povertà con misure tipo il reddito di cittadinanza se queste impediscono all’economia di crescere, come è accaduto di recente anche nel nostro Paese. Pierluigi Ciocca, economista, ex alto dirigente della Banca d’Italia, con una passione per la storia, ha mandato in libreria da poche settimane il suo ultimo lavoro su un tema di grande attualità: “Ricchi e Poveri, Storia della diseguaglianza”, Einaudi, in cui affronta con rigore una questione molto controversa in dottrina, e soprattutto oggetto negli ultimi tempi della più cinica demagogia politica.

Dal punto di vista storico, Ciocca mette a fuoco una questione molto importante sulle origini e le cause della povertà e della diseguaglianza. Nei tempi antichi, e fino alle soglie della rivoluzione industriale, la ricchezza discendeva dal possesso del potere politico. In genere erano i Re o i Sacerdoti che detenevano il controllo delle persone e delle loro anime, e quindi erano in grado di prelevare tutto o quasi il surplus che si produceva oltre i fabbisogni di sopravvivenza. Il potere politico, però non è nato solo per la prepotenza di bande di predatori, ma rispondeva ad un servizio che veniva reso alla società. In primo luogo, la sicurezza e la giustizia, poi la gestione delle acque e quindi dell’agricoltura, infine lo stoccaggio e la conservazione dei viveri.

Con la rivoluzione industriale la ricchezza nasce dal mercato e non appartiene solo ai detentori del potere politico, anche se ovviamente gli imprenditori molto ricchi hanno avuto una qualche influenza politica. La conseguenza, in generale, è che la povertà era grande nelle società controllate dal potere politico, mentre le economie capitaliste hanno avuto il grande merito di moltiplicare la crescita dell’economia e contemporaneamente di ridurre la povertà e attenuare, almeno nella fase di maggiore maturità del mercato, le diseguaglianze.

Il problema è molto complesso sia storicamente che volendo analizzare la situazione dei decenni più recenti. Una cosa però dovrebbe essere messa in maggiore evidenza: povertà e diseguaglianza non sono esattamente la stessa cosa, nel senso che un aumento della concentrazione della ricchezza non necessariamente coincide con un aumento della povertà assoluta o relativa. Insomma si tratta di due aspetti che in parte sono collegati, ma che non sono dei sinonimi come spesso si usa nel linguaggio corrente. Il che vuol dire che quando si parla di provvedimenti di politica economica bisognerebbe adottare politiche diverse a seconda se si vuole agire più sulla povertà (che sicuramente dovrebbe avere la priorità) o sull’attenuazione delle diseguaglianze. Nel primo caso ci vuole un sussidio fatto di denaro e di servizi, mentre nel secondo occorre soprattutto puntare sulla crescita generale, sulla creazione dei posti di lavoro tramite un mercato del lavoro ben funzionante, su una diffusa formazione, ed eventualmente su qualche incentivo per favorire la mobilità delle persone.

Ciocca, seguendo Keynes, sottolinea i difetti del capitalismo, ma riconosce che altri sistemi (come il comunismo) hanno completamente fallito, lasciando una lunga scia di inefficienze che dopo molti anni dalla caduta non sono ancora state superate. Il capitalismo ha tre difetti gravi che Ciocca riassume nella formula delle tre i: instabilità, iniquità, inquinamento. Si tratta di difetti che possono essere corretti con opportune politiche da parte dei governi. L’instabilità, in particolare è insita nelle oscillazioni dei mercati, e può essere curata sia con interventi tempestivi delle autorità monetarie e fiscali (ma in tempi recenti banche centrali e governi non hanno avuto il coraggio di interrompere quella che pure avevano giudicato “esuberanza irrazionale”), sia con interventi ex post, evitando recessioni distruttive come tutto sommato è avvenuto nelle crisi finanziaria del 2008 e sanitaria del 2020.

Mentre l’inquinamento non sembra un difetto peculiare del capitalismo, considerando come i regimi comunisti hanno devastato il loro territorio, per quel che riguarda l’iniquità la questione è ben più complessa. È sicuro che eccessive differenze di reddito tra le varie classi sociali e una estesa povertà sono non solo moralmente riprovevoli, ma anche economicamente non convenienti. È stato dimostrato infatti che una riduzione delle diseguaglianze favorisce la crescita a tassi più elevati. Attenuare le differenze di reddito nell’ambito della società dipende quindi da opportune politiche fiscali e della spesa statale, che però devono essere ben gestite per evitare che un fisco troppo esoso blocchi gli investimenti e la crescita. Ciocca ribadisce con forza che lo Stato deve intervenire quando necessario, ma non ampliando a dismisura la spesa corrente, bensì puntando sugli investimenti capaci di aumentare la produttività, così che il debito pubblico possa essere ripagato grazie al maggiore Pil prodotto. È quindi sulla crescita che bisogna puntare con determinazione, cosa che l’Italia non ha certo fatto da oltre vent’anni.

Una cosa è certa: Ciocca non ha nessuna simpatia per una espansione eccessiva e incontrollata dello Stato e quindi del potere politico. “Superamento del capitalismo, capitalismo guidato dallo Stato nell’utilizzo delle risorse e politiche industriali pervasive sono le formule tanto generose e ambiziose quanto astratte, vaghe e inapplicabili che la pandemia ha riproposto”. Dubito che nella maggior parte dei casi si tratti di generosità e non di bramosia di potere dei politici che aspirano a conquistare una fetta maggiore di risorse da gestire direttamente.

Infine, ma non certo per importanza, bisogna considerare che la povertà e le eccessive diseguaglianze rischiano di sfociare in un pericoloso indebolimento della democrazia, spingendo i cittadini a rivolgersi verso regimi che apparentemente propongono una maggiore eguaglianza, ma che poi, non riuscendo a garantirla, trovano più semplice eliminare il dissenso e quindi occultare la verità.

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