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Cinema: “Unsane”, il film di Soderbergh sullo stalking

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Giudizio dell’autore: 

Difficile immaginare qualcosa che possa andare oltre l’incubo. Difficile scrivere sul disagio mentale. Difficile affrontare i complessi problemi sui disturbi della personalità nell’era dei social network, delle compulsioni ossessive che, spesso, sfociano in violenza aggressiva. Complicato prevedere accadimenti che possano stravolgere in modo drammatico la propria vita. Quasi impossibile supporre che ci si possa trovare contro la propria volontà prigionieri innocenti dove è facile perdere il filo della ragione e della razionalità.   

Di tutto questo si parla in Unsane, appena uscito nelle sale, ultimo film di Steven Soderbergh, noto autore americano reduce del fresco successo de La truffa dei Logan. La protagonista della storia, un’ottima Claire Foy, è vittima di uno stalker dal quale cerca di fuggire cambiando città. Non ci riesce e il suo persecutore la tallona fin dentro il suo nuovo luogo di lavoro. Il disagio di Sawyer è crescente e cerca una soluzione attraverso un supporto psicologico in una clinica specializzata. A questo punto si incrociano due incubi: il primo è sempre dello stalker che riesce a farsi assumere tra il personale infermieristico e il secondo della struttura sanitaria che si rivelerà poi essere un centro di attività truffaldine a danno (o in complicità) delle assicurazioni sulla pelle dei pazienti. Dovrà fuggire da entrambi e non sarà facile: l’aggressore cercherà in ogni modo, compreso ridurla in stato di prigionia in una stanza imbottita e chiusa, e la direttrice della clinica a tenerla più a lungo possibile per incassare il premio della polizza. Finale atteso quanto drammatico, con una coda che lascia un filo di dubbio.  

Il regista conosce il mestiere: esordisce a 26 anni con Sesso, bugie e videotape con il quale vince la Palma d’oro a Cannes e manifesta da subito chiaramente la sua attenzione verso la modernità dei nuovi linguaggi cinematografici. Poco dopo vince un Oscar con Erin Brockovitch per poi proseguire con altri successi che lo porteranno alla ribalta internazionale (fortunata la serie Ocean’s eleven). Sa trattare e gestire i ritmi, le azioni, le dinamiche psicologiche dei personaggi, i luoghi e i tempi narrativi e, anche in questo caso, conferma le sue capacità. Il film scorre bene, i dialoghi sono impostati correttamente, i personaggi credibili e reggono ottimamente la parte assegnata. Il clima di angoscia è forte e teso e fino all’ultimo istante si rimane in attesa di qualcosa che si avverte prossimo ad accadere.

Ci sono tutti gli ingredienti di un film trhriller psicologico e horror alla vecchia maniera (Psyco docet) in grado di rendere bene l’angoscia che si può provare quando si è vittima di uno tra i tanti crimini che sembrano appartenere compiutamente alla nostra era di FaceBook e del telefono cellulare come quintessenza della vita. È proprio il cellulare il protagonista diretto e indiretto del racconto. Lo è all’interno della storia perché grazie al cellulare che si consuma il crimine e in parte si risolve e lo è all’esterno perché il regista ha girato pressoché tutto il film con la telecamera di una nota marca di cellulari. Il risultato, dal punto di vista tecnico, è eccellente ed è difficile cogliere la differenza con una buona telecamera digitale. Una grande attenzione al montaggio rende tutto il prodotto di ottima qualità. Nella calura estiva e al fresco dell’aria condizionata delle sale semivuote merita ampiamente il costo del biglietto. 

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Categories: Cultura

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