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Cinema, torna Muccino: cast stellare ma la trama…

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Giudizio dell’autore: 

Ci sono momenti in cui parlare, e scrivere, male del cinema italiano appare più che giustificato. Non tutto e non sempre ma, ogni tanto, succede che qualcuno ci mette buona volontà a realizzare prodotti scadenti. E’  il caso del film di questa settimana: A casa tutti bene di Gabriele Muccino. La storia è, più o meno, già vista e conosciuta. Una famiglia, allargata al punto giusto, si riunisce per una ricorrenza dell’anziano genitore. Si sarebbe dovuto tutto concludere in una giornata nella casa dei due protagonisti, due compassati Ivano Marescotti e Stefania Sandrelli, ma a causa del maltempo tutti sono costretti a pernottare sull’isola dove si svolge la vicenda. Non è difficile immaginare, già da subito, che tra tutti i personaggi tira aria di tempesta che ben presto si scatena con effetti più o meno devastanti. Così come era prevedibile l’inizio, altrettanto il finale: tutti più o meno brutti, qualcuno un po’ sporco, e quasi tutti cattivi. 

Iniziamo dal cast “stellare”: si potrebbe dire quanto di meglio offre il convento cinematografico italiano contemporaneo, da Stefano Accorsi a Claudia Gerini, da Carolina Crescentini a Pierfrancesco Favino, per un totale di 16 protagonisti più qualche supporto – i bambini – senza valutazione. Troppi per poco tempo a disposizione. Ognuno deve mettere in gioco quanto di meglio può fare per dare credibilità a personaggi a malapena abbozzati, a volte quasi caricature costipate. Si tratta di un lavoro teatrale, dove l’impianto narrativo è tutto giocato sui testi ed è forse , proprio in questa parte, che il film si arena nelle paludi del pressappoco, del superficiale, del già visto e sentito. 

Non parliamo di altri elementi che pure compongono l’architettura di un film. La regia cerca di tenere le fila di un racconto che  fatica a prendere forma e dignità cinematografica. Non sono sufficienti i soliti giochi pirotecnici con la cinepresa per rendere gradevole la visione. Non parliamo del mixer audio: incomprensibile come non è stata fatta attenzione a distribuire correttamente gli input da base musicale e microfoni. Fotografia q.b., ai limiti della sufficienza necessaria. Insomma, per fortuna agli Oscar l’Italia concorre con Chiamami con il tuo nome, del quale abbiamo già scritto ( che poi non è nemmeno tanto italiano nemmeno). 

Per chi invece è affezionato al cinema italiano di altro spessore (ci permettiamo di scomodare Mario Monicelli con Parenti serpenti del 1992, piuttosto che La Famiglia, il grande affresco di Ettore Scola del 1987, passando per Ferie d’agosto di Paolo Virzì del 1996) non c’è dibattito, siamo lontani anni luce. Eppure, una piccola chiave di salvataggio, si può trovare proprio nella grossolanità del film di Muccino: fotografa un momento del Paese proprio come i personaggi e la vicenda che ha descritto: tutto un po’ leggero, evanescente, senza progetto e poco futuro. Un po’ triste ma, forse, vero. 

Un tema analogo, un gruppo di persone in un interno, in questo caso legati da un vincolo di amicizia, è trattato in un piccolo film, ancora nelle sale, che non ha avuto il successo che merita: The Party, della regista inglese Sally Potter. Il titolo gioca con il doppio senso della traduzione dove si parla di politica ma anche di una festa che, invece, si trasforma in  ben altro. La pellicola è in bianco e nero, e già da solo questo elemento caratterizza la narrazione tragica quanto, a volte, surreale. Poche persone sulla scena ed una, incombente, di cui si sente solo parlare garantiscono 70 minuti di grande scuola recitativa. Anche al cinema, fare bene le cose semplici non è per niente facile. Alcuni ci riescono, altri meno. Merita 4 stelle. 

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Categories: Cultura