Giudizio dell’autore:
Ogni paese ha il cinema che si merita o, per meglio dire, che rispecchia se stesso. In alcuni casi, si forma una corrente univoca, costante nel tempo e nello spazio, che interessa più di un paese appartenenti alla stessa regione. Si tratta della penisola scandinava dalla quale provengono grandi firme e opere fondamentali della storia del cinema. Uno su tutti: lo svedese Ingmar Bergman (un interessante approfondimento sul cinema nordico si legge su un articolo del SNCCI.
Il film che vi proponiamo questa settimana è Thelma, firmato dal regista norvegese Joachim Trier. Il timbro di fabbrica si osserva dalla prima inquadratura: cielo grigio, distesa di ghiaccio, neve, silenzio. Si tratta di un flashback, perché le immagini riportano ad una giovane universitaria che ha lasciato la casa dei genitori in campagna, cattolici ferventi, per seguire gli studi in città. In biblioteca viene colta da un attacco di apparente epilessia mentre, sullo sfondo, da uno stormo di uccelli se ne staccano alcuni per infrangersi contro una vetrata. Thelma poi incontra un sua coetanea, Anja, e tra le due si instaura una relazione. Durante le sue crisi succedono fatti inspiegabili che sembrano collegarsi a desideri inconsci della protagonista. La storia si conclude quando la protagonista risolve il conflitto con i genitori e ritrova la sua amica.
Spesso succede all’uscita di una visione cinematografica di essere sorpresi e di trovare difficoltà a cogliere la sua essenza, la sua collocazione in qualche genere. Difficile non cogliere gli spunti da altri film e autori (da Hitchcock a Brian De Palma). In questo caso, la regia risolve in modo convincente lo svolgimento della vicenda che si va a collocare pienamente nel filone del trhiller paranormale. Gli attori (bravissime le due protagoniste) lavorano molto sui silenzi, gli sguardi, e riescono a rendere bene il clima di tensione che anima la storia. Le luci, gli ambienti sono noti e già visti tante volte e corrispondo perfettamente a creare quello sfondo geometrico, asettico, freddo, tipico di tante altre pellicole simili.
Il film è interessante e, specie in questo periodo di bassa stagione, appare come quanto di meglio offre il mercato. Il SNCCI lo ha segnalato come “Un racconto di formazione e di emancipazione ridisegnato attraverso i colori del thriller soprannaturale e spirituale…”.
Proponiamo anche un film di altro genere, buono per il periodo estivo. Per chi è cresciuto immaginando “una vita alla Steve Mc Queen…” si può provare una certa delusione. Sono passati alcuni decenni da quando lo sguardo, le espressioni beffarde dell’attore inglese hanno segnato una generazione di appassionati di cinema. Eppure, quel genere di film tra azione, avventura e fughe impossibili attraggono ancora. In più, siamo nel pieno periodo di grandi e importanti remake: da 2001 Odissea nello spazio, capolavoro assoluto di Stanley Kubrick, a Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci.
È appena uscito nelle sale Papillon, firmato dal regista Michael Noer, rifacimento del celebratissimo analogo del 1973 diretto da Franklin J. Schaffner con protagonisti Steve McQueen e Dustin Hoffman. La storia è identica (ripresa dalla vicenda reale vissuta da Henri Charrière negli anni ’30, quando venne deportato in una prigione punitiva nella Gujana francese) e si riferisce alla fuga rocambolesca dall’isola, impresa mai riuscita prima a nessuno. Nulla di paragonabile di questa nuova edizione rispetto alla precedente: anzitutto gli attori. Altra scuola, altre esperienze. La sceneggiatura in diversi punti è debole ma, nell’insieme, rende a sufficienza lo scorrimento narrativo. Il genere “fuga dal carcere” è sempre divertente soprattutto quando riesce a chi ci prova. Il film è quasi fotocopiato e per chi non ha visto o non ricorda il precedente, vale la pena il biglietto. Considerato il periodo estivo, si può vedere.