Torna sul grande schermo, dopo alcuni anni di assenza, Cetto La Qualunque il mitico personaggio inventato e impersonato da Antonio Albanese e ci aggiorna sulle mostruosità che c’erano allora e che, forse, ci sono ancora oggi intorno a noi. Abbiamo lasciato Cetto sindaco di Marina di Sopra ed ora lo ritroviamo emigrato in Germania dove è divenuto imprenditore, è sposato con una donna tedesca ed è chiamata dalla zia morente in Italia dove gli si riveleranno le sue nobili origini.
Ecco che (ci) si ritrova catapultati nella realtà del “sovranismo” o presunto tale, dove in questo caso è proprio il monarca chiamato a risollevare le sorti del Paese. Da osservare che il film, firmato alla regia da Giulio Manfredonia, arriva nelle sale pochi giorni dopo le felici esternazioni di Emanuele Filiberto di Savoia: ““Buonasera a tutti gli italiani, ho il dovere di annunciare ufficialmente il ritorno della Famiglia Reale” tanto per riportarci alla cronaca quotidiana.
Il film di Albanese racconta di un Italia più o meno come l’avevamo lasciata 10 anni addietro. È cambiato poco nella società, nella politica, nella cultura e nei costumi del Paese. La sceneggiatura, i testi, aggiungono solo qualche tratto in più rispetto a quanto già noto, a quanto già sappiamo su quello che di orribile succede ogni giorno intorno a noi. Non è un film comico: c’è proprio poco da ridere … anzi, per certi aspetti appare drammatico. Si tratta dello stesso film, della stessa storia, con lo stesso personaggio aggiornato e corretto che abbiamo visto da quando è comparso in televisione e poi sullo schermo cinematografico.
Il problema infatti è capire se è Cetto ad essere rimasto lo stesso oppure il Paese che descrive ad essere peggiorato. In questo caso, non si trova una risposta sufficiente e, purtroppo, il racconto di Albanese si limita ad una serie di gag nemmeno tanto comiche quanto più surreali. Cetto, per molti aspetti, è la maschera di un “mostro” che si agita nella nostra società, composto da una buona dose di qualunquismo misto a tanta brutale volgarità, di pressapochismo politico insieme a piccoli o grandi affari loschi.
Merita la visione solo per curiosità “antropologica”, solo per capire ancora una volta se il cinema italiano ha le credenziali giuste per affrontare la cronaca quotidiana con le chiavi corrette, siano esse comiche oppure tragiche. Albanese è bravo, ma non è sufficiente.