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Cinema, Richard Jewell: la versione Usa del caso Tortora

Locandina ufficiale

Giudizio dell’autore: 2/5

La vera storia di un addetto alla sicurezza che riesce a limitare i danni di un attentato durante le Olimpiadi del 1996 ad Atlanta, negli Usa. Questo è Richard Jewell, il film firmato alla regia da Clint Eastwood, con oltre 60 titoli alle spalle per non dire di premi Oscar e altri riconoscimenti internazionali. 

Non sarà un titolo che entrerà nella storia del cinema e, nonostante sia candidato a vari premi, abbiamo forti dubbi che possa essere preso in considerazione. La trama è semplice e si riferisce ad un fatto realmente accaduto. Il protagonista, durante un concerto, si accorge di uno strano zainetto abbandonato sotto una panchina: non appena avverte la polizia non si fa in tempo a disinnescarlo e l’ordigno esplode causando due morti e molti feriti. Inizialmente acclamato come eroe, poco dopo grazie all’FBI che brancola nel buio, viene prima sospettato e poi indagato come possibile esecutore dell’attentato.

Questo passaggio avviene grazie all’ingordigia giornalistica di una redattrice del quotidiano locale che, pur di avere “una storia” da raccontare e fare uno scoop da prima pagina non ha esitazione nel pubblicare un articolo che accusa Jewelll senza uno straccio di prova ma solo supposizioni, poi rivelate del tutto infondate. La storia è nota e non riveliamo nulla di nuovo: senza nemmeno tante scuse Jewell viene scagionato completamene e ammesso nei ranghi della polizia locale a cui tanto aspirava. 

La mano di Eastwood si vede e il ritmo non manca. La sceneggiatura a volte è debole però mantiene bene il filo del racconto. Gli attori fanno il loro mestiere, senza infamia e senza lode. Merita attenzione il solito approccio, tutto Made in USA, ai problemi del giornalismo e, in particolare, alla loro grande capacità di affrontarli senza girarci tanto intorno. Si tratta di una eterna e apparentemente insanabile contraddizione: succede spesso che i giornalisti americani (e forse non solo loro) sono tanto sono attenti alla cronaca, a riportare i fatti e i dettagli anche più insignificanti, tanto sono capaci di scivoloni drammatici pur di strappare qualche colonna sul giornale.

A loro merito, cinematograficamente parlando, va detto che sono capaci di feroci autocritiche e quando questo succede lo fanno anche bene. Questo film, infatti, è un gigantesco atto di accusa contro “i due poteri più forti al mondo: il Governo degli Stati Uniti e la stampa” come recita l’avvocato difensore di Jewell. Non c’è bisogno di scomodare fatti drammatici avvenuti nella scena internazionale per ricordacelo: basti pensare alla guerra in Iraq. 

In Italia questo genere di pellicole non trova grandi fortune. Il titolo che più facilmente ci è venuto a mente e quello che forse meglio sintetizza i problemi del complesso rapporto tra cinema e informazione nel nostro Pese è stato Sbatti il mostro in prima pagina, di Marco Bellocchio, del 1972 con Gian Maria Volontè. Tra l’altro, di scottante attualità: si raccontava la storia di un giornale (“Il Giornale” prima che venisse poi fondato da Indro Montanelli) e di come con i suoi articoli volesse influenzare l’elettorato prossimo ad una votazione. 

Da allora, nonostante che la cronaca,la politica, la società hanno offerto innumerevoli storie meritevoli di essere raccontate sul grande schermo purtroppo abbiamo visto poco o quasi nulla. Da ricordare il film documentario Il caso Enzo Tortora – Dove eravamo rimasti? , una miniserie di due puntate andate in onda su RaiUno nel 2012 con la regia di Ricky Tognazzi. Anche in quel caso, la stampa ha avuto un ruolo non secondario nello sbattere il mostro in prima pagina, salvo poi non chieder sufficientemente scusa, non solo al l’interessato quanto a tutta la pubblica opinione. 

In un momento di reflusso post cinema natalizio e in mancanza di meglio, Richard Jewell merita attenzione. 

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Tags: Cinema