Giudizio dell’autore: 2/5
Storia di gangster all’italiana, come ormai da tempo siam abituati a vedere. Questo il film della settimana: Lo spietato con la regia e sceneggiatura di Renato De Maria e con il solito Riccardo Scamarcio come protagonista principale. Siamo nel pieno degli anni ’80, nella Milano che prima ancora da bere era la città dove vivere e sopravvivere, specie per i tanti immigrati (nazionali) che vi cercavano lavoro e una nuova vita. Tra loro, anche quanti hanno invece cercato e trovato fortuna nella carriera criminale, come il noto boss a cui il romanzo si è ispirato. Questa la storia, tratta dal romanzo Manager calibro 9 di Pietro Colaprico e Luca Fazzo.
Diciamo subito che il film non meriterebbe attenzione più del solito se comparato ad altri “illustri” precedenti dello stesso genere. Piaccia o meno, ma Gomorra e Romanzo criminale hanno fatto scuola e abituato il pubblico, sia nelle sale cinematografiche quanto di fronte al piccolo schermo, ad un alfabeto narrativo ormai affermato e di sicuro successo. In questo caso, ci si trova di fronte ad un ibrido che non riesce a coniugare quel tipo di racconto cinematografico con una nuova e diversa lettura. Tutto appare troppo semplice, troppo già visto nelle dinamiche, nella caratterizzazione dei personaggi, nelle ambientazioni. Che la malavita, la ‘ndrangheta, la camorra e la mafia non fossero solo una faccenda delle regioni meridionali del Paese è cosa nota e che nella capitale lombarda possano avere attecchito tutte le possibili e peggiori applicazioni della violenza criminale organizzata non è certo cosa nuova.
Per tutto il resto questo film non dice e non aggiunge nulla di interessante nella narrazione gangster cinematografica nazionale. La sola nota meritevole di pregio è la grande cura nel dettaglio delle scene, nella scelta dei personaggi, nel restituire in modo attendibile e verosimile la storia che si vuole raccontare. Scamarcio ormai presente dovunque, sembra volersi ritagliare un posto particolare in questa caratterizzazione da duro ma non ci riesce: nei suoi occhi non si coglie mai quella scintilla di pura cattiveria che invece altri attori riescono a proporre. Però piace al pubblico e tanto sembra bastare per utilizzarlo in tutte le salse.
Chiusa la parte strettamente filmica, si apre invece un capitolo a parte sulla parte distributiva della “pellicola” (posto che ormai è in completo disuso). Lo spietato, prodotto da Angelo Barbagallo in collaborazione con Rai Cinema, è stato nelle sale per soli tre giorni, con la filosofia del “film evento”, per poi passare direttamente alla distribuzione sulla piattaforma streaming Netflix a partire dal prossimo 19 aprile. Anzitutto da osservare un piccolo dettaglio: per chi frequenta le sale, il costo del biglietto per questo genere di film è superiore del 30% rispetto al solito e non sembra certo questa una buona politica di incentivo ad andare al cinema. Sembra quasi un invito, viceversa, a vederlo attraverso lo streaming dove, con la stessa cifra, si possono vedere anche tante altre cose più o meno interessanti.
La stessa politica di produzione e distribuzione, del resto, ha avuto già un precedente di grande prestigio con Roma di Alfonso Cuaron. In questa circostanza, però, parliamo di un prodotto che non a caso ha vinto Oscar e altri importanti riconoscimenti e non sembra proprio questo il caso. Rimane da capire la logica di una produzione che ottiene finanziamenti pubblici (per questo film si tratta di 430 mila Euro dalla Apulia Film Commission, regione dove sono state girate tutte le scene di esterni) per realizzare un prodotto a destinazione prevalente sulla piattaforma streaming invece che nelle sale. Si discute molto sul perché e il percome il cinema italiano soffre: anche questo un tema sul quale riflettere. Lo ha sostenuto proprio due giorni fa Francesco Rutelli, presidente dell’ANICA, “La nostra industria dell’audiovisivo deve fare la sua parte: prodotti migliori…”. Appunto!