Talvolta, succede che al cinema si realizza una relazione inversamente proporzionale tra le attese e le sorprese. Potrebbe essere il caso di IT, da pochi giorni nelle sale italiane, tratto dal noto racconto di Stephen King scritto nel 1986. Da tempo, infatti, i cultori del genere orrore, sangue e paura erano in attesa di questo film. Attesa quindi molta, sorpresa invece poca.
Lo scrittore americano è indubbiamente tra i migliori nel genere horror e, nelle trasposizioni cinematografiche, è sufficiente ricordare il suo primo Carrie, e poi Shining come pure Christine, la macchina infernale. Non solo horror ma anche thriller con aggiunta di effetti scenici di indubbia presa sul pubblico che ha sempre premiato King sia nelle vendite dei libri quanto nei film di successo. It è considerato il suo capolavoro e nel mondo ne sono state vendute milioni di copie. Per gli appassionati del genere c’era dunque molta attesa per vedere come dalle pagine del racconto si sarebbe passati alla pellicola.
La storia si svolge intorno agli anni ’80 in una piccola cittadina del Maine dove un gruppo di sette giovani adolescenti si trova alle prese con una entità, Pennywise il clown ballerino, che rapisce e uccide giovani e adulti. Il gruppo dei ragazzi cercherà di capire chi è e perché tutto questo avviene, a partire dalla misteriosa scomparsa del giovane fratello di uno dei componenti della “banda dei perdenti” come si sono autodefiniti.
A questo punto il racconto cinematografico si divide in due parti: la prima riguarda le immagini, i problemi, le difficoltà dei giovani adolescenti in una piccola città di provincia. La seconda parte che scorre parallela riguarda gli adulti, per lo più genitori, che incidono non poco nella determinazione del clima di tensione e paura che li circonda. Alcuni tra loro sono, forse, i veri mostri dei quali aver paura. Questo racconto parallelo, la dice lunga sui meccanismi di formazione del senso di timore che, sin da piccoli, i genitori hanno proposto ai figli già a partire dalle più apparenti e innocue favole, a partire da Cappuccetto rosso e il suo lupo famelico. Superfluo aggiungere che, trattandosi di un film dell’orrore, non leggerete nulla di più che possa distogliere la curiosità di andare al cinema e vedere come finisce, posto che la produzione ha anticipato un sequel previsto nel 2019. Ad un film del genere potrebbe essere poso sensato chiedere come e perché succedono certe cose, ma una chiusura sensata forse si.
Il film scorre con sufficienza, anche se si avverte molto l’influenza di un certo modo di fare cinema, specie nelle sequenze più animate, influenzate dal mondo dei videogiochi e, infatti, per come il film si propone appare più indirizzato ad un pubblico giovanile che non di adulti. Di terrore, in sala, se ne avverte poco e non sono sufficienti i soliti effetti sonori o le scene buie in cantine piene di ragnatele a suscitare grande tensione. Per chi ha in mente il ricordo di Shining, sarà perché la regia era di un certo Stanley Kubrick, il confronto con questa regia del quasi esordiente argentino Andrés Muschietti, non regge.