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Cinema, “Il primo re”: la storia (recitata in latino) di Romolo e Remo

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Giudizio dell’autore: 

Quando si affrontano temi complessi, che riportano direttamente ad un passato lontanissimo, oltre che remoto, è facile addentrarsi in labirinti della ragione dove appare difficile uscirne indenni. In quelle distanti regioni della memoria, della storia, dalle quali proveniamo vi ritroviamo spesso tutta la nostra attuale condizione umana, con tutta la sua fragilità e le sue difficoltà. In queste considerazioni si colloca il film che proponiamo questa settimana: Il primo re, con la regia di Matteo Rovere e due eccellenti protagonisti, Alessandro Borghi nelle vesti di Remo e Alessio Lapice in quelle di Romolo.

La pellicola viene introdotta con una citazione “Un dio che può essere compreso non è un dio” di William Somerset Maugham e in questo modo si indirizza la visione su un filone, quello del rapporto tra gli umani e la divinità, che vorrebbe essere la trama sostanziale del racconto. Si parla di quando, nel 753 AC., i due fratelli Romolo e Remo, secondo la leggenda, vengono raccolti sulle rive del Tevere e allattati da una lupa e uno di loro sarà destinato a fondare Roma, quella che poi diverrà la capitale dell’impero. L’inizio è travolgente: una piena d’acqua li investe, riescono a salvarsi e fatti prigionieri da una piccola popolazione ostile che venerava il fuoco sacro al quale vengono proposti sacrifici. Riescono a liberarsi e a fuggire insieme ad un piccolo gruppo di prigionieri che diverranno loro fedelissimi e dopo l’attraversamento di un bosco malefico, finalmente giungono sulle rive del Tevere dove si compie la catarsi finale: lo scontro fratricida come la vestale aveva predetto e dove il vincitore, Romolo, traccerà i confini della città eterna e diverrà il primo re.

Il film è indubbiamente complesso, sia per le particolarissime condizioni di sceneggiatura (la lingua parlata è il latino arcaico, supervisionato da esperti universitari e sottotitolato in italiano) sia per le obiettive difficoltà a ricostruire ambienti ai limiti del primitivo, come proprio in quel periodo potrebbe essere stata la reale condizione di vita degli individui italici. Si è tratta di uno sforzo produttivo tanto complesso quanto impegnativo, in ordine ai costi e alla ricerca filologica che, visto il risultato, risulta apprezzabile. Appare tutto molto verosimile, attendibile, non si avvertono (anche agli occhi di profani come noi) fastidiose invenzioni o gratuite interpretazioni narrative, al solo scopo di suggestionare lo spettatore.

Il film rende bene il clima anzitutto religioso che governava le relazioni tra le persone: tutto era sotto il segno del divino, della predizione sovrannaturale, della devozione mistica ad uno degli dei, il fuoco sacro, che oltre alla rappresentazione simbolica era fonte essenziale di vita. Da questo punto di vista, e considerata la citazione, il racconto regge bene l’attenzione anche se non riesce ad emozionare e coinvolgere emotivamente più di tanto. Purtroppo, in alcuni passaggi, la regia si fa prendere la mano ad un eccessivo uso di combattimenti, duelli efferati quanto eccessivamente brutali, laddove invece si poteva concedere più spazio alle figure umane, simboliche e metaforiche, ai temi importanti sui quali i protagonisti erano impegnati. Si intreccia allo sfondo religioso, inoltre, un altro tema fondamentale nella storia umana: l’amore e il conflitto tra fratelli destinato talvolta a soluzioni drammatiche.

Il film è impressionante per la novità che rappresenta nel panorama cinematografico italiano che, pur con il glorioso passato delle pellicole di questo genere, da tempo non ha trovava la forza e il coraggio di affrontare nuovamente e con tale impegno una diversità di argomenti tanto complessi. Matteo Rovere il cinema lo conosce bene: nel 2016 ha scritto e diretto Veloce come il vento e l’anno successivo realizza Smetto quando voglio, di grandissimo successo. Il primo re è stato girato tutto nel Lazio, spesso con la luce naturale e solo nelle prime sequenze, quelle dell’inondazione, sono stati utilizzati effetti speciali. Il risultato è molto apprezzabile e, come raramente avviene, è facile supporre che un film del genere possa trovare facili collocazioni nel mercati internazionali: il “brand” Roma si vende ovunque e se poi il contenuto è realizzato e confezionato bene, ancora meglio.

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Categories: Cultura