Stavolta Matteo Garrone ha fatto un mezzo flop. Il regista romano, dopo alcuni successi clamorosi tra i quali Gomorra e Dogman, non sembra azzeccare più di tanto l’ennesima versione di Pinocchio: almeno questa è l’opinione del critico cinematografico Patrizio Rossano, che su FIRST Arte, il magazine di FIRSTonline dedicato all’universo della cultura, boccia in parte la pellicola, sottolineando come persino Roberto Benigni nel ruolo di Mastro Geppetto non sia proprio al massimo delle sue potenzialità.
Ne viene fuori, secondo Rossano, un film senza poesia, senza fantasia e senza magia. Un film che non suscita grandi emozioni, e che soprattutto è imparagonabile con alcuni capolavori del passato, tra cui la stessa pellicola diretta e interpretata (stavolta però nel ruolo di Pinocchio) nel 2002 da Roberto Benigni, o la grande opera di Luigi Comencini, andata in onda sugli schermi televisivi Rai in sei puntate nel 1972 (in replica dieci anni dopo) con attori del calibro di Nino Manfredi (Geppetto), Gina Lollobrigida (la fata), Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (il gatto e la volpe).
Questo Pinocchio è fragile nel racconto umano, nella metafora dell’esistenza degli individui su questa terra, siano pure “di legno”, non si evidenzia il confine tra il bene e il male, il bello e il brutto, il buono e il cattivo e, alla fine, si somigliano un po’ tutti. Collodi, l’autore del vero Pinocchio, ci ha raccontato un’altra storia che Garrone, pure attento ai bassifondi dei sentimenti (basta solo ricordare Gomorra e Dogman), in questo caso non è sembrato in grado di fare con pari maestria.