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Cinema, Giurato n. 2, fa’ la cosa giusta. Il mirino di Clint Eastwood punta su un dramma ad alta tensione morale

Wikimedia Commons

Ha raccontato Nicholas Hoult in un’intervista che quando ha saputo che Clint Eastwood lo voleva per la parte del protagonista del suo nuovo film, Giurato n. 2, ha letto la sceneggiatura e lo ha chiamato entusiasta. Eastwood gli avrebbe risposto: “Se è così buona come dici, allora vorrà dire che dovrò leggerla anch’io”. Ironico, dissacrante e vecchio abbastanza da sapere che di tempo non ne vuole perdere, ha girato il suo ultimo film, nel senso di più recente, andando alla sostanza delle cose.

La regia è misurata e solida e la quarantaduesima di una carriera leggendaria che continua a guardare avanti. Il contesto, giudiziario, è ridotto all’essenziale: il tribunale, l’interno domestico del protagonista, pochi flashback sapienti che ricostruiscono alcuni avvenimenti.

Hoult è Justin Kemp, un brav’uomo sulla trentina, sposato e in attesa di un figlio da Allie (Zoey Deutch), un’insegnante che anni prima era stata suo mentore per superare la dipendenza dall’alcol. Viene nominato nella giuria di un processo per omicidio ma ben presto si rende conto che in quel delitto potrebbe essere personalmente coinvolto. Quando viene formulata l’accusa, lui si rivede in un bar, le luci calde dell’insegna battute dalla pioggia incessante: seduto da solo a un tavolino davanti a un bicchiere che rigira tra le mani riuscendo a non portarlo alle labbra, assiste al litigio di una coppia di fidanzati. Lei finirà in fondo a una scarpata, lui seduto in tribunale al banco degli imputati.

La procuratrice è convinta che l’accusato sia l’omicida e la giuria sembra orientata a confermarlo ma è Kemp che invita gli altri undici a riconsiderare le prove e ad appurare se l’imputato possa essere davvero ritenuto colpevole oltre ogni ragionevole dubbio. Il processo continua, ma il sistema sembra girare a vuoto e la giustizia, cieca, oscilla come la bilancia in mano alla statua bendata che la rappresenta, appesa in cima al palazzo del Tribunale. Clint Eastwood, invece, resta lucido, e in due ore asciutte e tese dà la caccia alla verità, con la camera usata come fosse un mirino, puntato su chi è di scena.
Le sue inquadrature raggiungono Nicholas Hoult e scavano dentro un senso di colpa che non si acquieta. Confessare o non confessare? Kemp/Hoult ha un passato da alcolista e sa che la pena sarebbe severa. Ma è giusto che un innocente paghi per un reato che non ha commesso?

Venticinque anni dopo Fino a prova contraria e Mezzanotte nel giardino del bene e del male (ambientato nella stessa Savannah, Georgia, di Giurato n. 2), Clint Eastwood è tornato a interrogarsi sulla giustizia e sulla colpa, stigmatizzando la fallacia dell’una e facendo leva sull’altra per sciogliere il dilemma. La questione morale è da sempre centrale nella sua opera: dove il sistema vacilla, Eastwood fa appello all’etica e alla responsabilità individuale, necessarie al mantenimento del patto sociale.

L’impressione è che, ancora una volta e per sempre, solleciti personaggi e spettatori a non smettere mai di esercitare il dubbio e a stare dalla parte giusta della storia. È la sua cifra, il suo messaggio e sarà la sua eredità. Il film è stato coprodotto dalla sua Malpaso con Warner Bros, come da cinquant’anni a questa parte. Attori bravi (quasi) tutti, piccole ma significative parti per Amy Aquino, Kiefer Sutherland e J.K. Simmons.

In sala
Titolo originale: Juror #2, Produzione: USA 2024, Regia: Clint Eastwood, Sceneggiatura: Jonathan Abrams, Montaggio: David S. Fox e Joel Cox, Interpreti principali: Nicholas Hoult, Toni Collette, Zoey Deutch, Amy Aquino, Kiefer Sutherland, Gabriel Basso, Francesca Eastwood, J.K. Simmons.

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Categories: Cultura