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Cinema: “Chiamami con il tuo nome”, il film italiano candidato all’Oscar

La pellicola del regista Luca Guadagnino ha ottenuto ben 4 nomination ai prossimi premi Oscar, tra cui anche quella a miglior film: ecco la recensione di un’opera molto discussa, che di italiano ha ben poco.

Cinema: “Chiamami con il tuo nome”, il film italiano candidato all’Oscar

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È lecito supporre che quando nei giorni scorsi è arrivata la notizia della candidatura a ben 4 premi Oscar per Chiamami con il tuo nome non sono stati pochi quanti si sono domandati “ma chi è Luca Guadagnino?”. Chi scrive è tra loro ed è difficile ammettere la sorpresa. I suoi precedenti lavori hanno avuto tanto successo negli Stati Uniti quanto invece hanno avuto poca fortuna in casa nostra. Così non è facile dover considerare che il cinema italiano, spesso maltrattato, possa essere in grado di compiere salti di tale levatura.

Non è facile ammettere che si tratta certamente di un regista italiano, ma che il film di italianità – soprattutto per il soggetto e per i temi trattati – ne mostra ben poca e solo un certo tipo. Infine, non è facile ammettere che un film italiano possa rappresentare la propria grande scuola recitativa solo attraverso attori americani. Insomma, dobbiamo ammettere che si tratta di un film tanto bello e stupefacente quanto, allo stesso tempo, complesso e disorientante. 

La trama è semplice: ci troviamo nella provincia bergamasca nell’estate dell’83, in una villa con i proprietari ricchi e colti, una famiglia di ebrei ”appartati” dove ogni anno viene ospitato uno studente straniero per una specie di tirocinio con il professore, proprietario della casa e padre del giovane protagonista. I due personaggi sono Oliver (Armie Hammer) ed Elio (Timothée Chalamet) e la vicenda ruota tutta intorno alla loro storia prima di amicizia e poi di amore vero. Elio, in particolare, è il perno del racconto ed è attraverso le sue riflessioni, i suoi turbamenti, la sua fragilità che si riflette e si regge tutta l’impalcatura narrativa.

Grande prova di recitazione, come raramente capita di vedere, di tutti i personaggi, alcuni solo tratteggiati ed altri più spessi e profondi (da non dimenticare il monologo del padre alla fine del film). Si capisce bene perché la scuola di recitazione anglosassone, spesso, appare di maggiore levatura rispetto a quella italiana. Luca Guadagnino viene da una grande formazione, si vede che ha assorbito il meglio del cinema italiano, da Bertolucci a Visconti, e ripropone uno stile che ha reso grande nel mondo la nostra scuola.

Ci sono suggestioni e rimandi di varia provenienza, da Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica del 1970 (ritorna, curiosamente, il tema del giardino come luogo narrativo e proprio con questo film De Sica vinse l’Oscar) a Morte a Venezia di Luchino Visconti del 1971. Citazioni colte e raffinate da diversi mondi, dalla letteratura greca antica ai moderni scrittori americani.  

La fotografia è semplice quanto efficace (il film è girato in 35 mm, e si vede la differenza rispetto alle riprese in digitale: la resa cromatica è sempre più vicina alle capacità ricettive dell’occhio umano). Alcune sequenze meriterebbero di essere “frizzate” per quanto risultano ineccepibili nell’inquadratura, nella luce, nelle profondità. La colonna sonora, di Sufjan Stevens, accompagna perfettamente il racconto e arricchisce il piacere della visione.  

Il film è opera italiana, girata in Italia e collocata in un momento storico del nostro Paese, gli anni ’80, pieni di tensioni e difficoltà. Però si avverte che lo sguardo di chi ha proposto la sceneggiatura (il lavoro è tratto da un romanzo dello statunitense Andrè Aciman) e di chi vi ha collaborato con un forte contributo (James Ivory, autore di Camera con Vista, Quel che resta del giorno) è tutto rivolto ad un pubblico forse diverso dal nostro.

Il ritratto del nostro Paese sembra proprio essere quello che tanto piace e si vende bene all’estero e, negli USA in particolare: cultura, sensualità e sensibilità, musica e buona cucina, il tutto in un ambiente gradevole, immerso in una natura incontaminata. In questa chiave si avverte un piccolo limite di questo film proprio nella ricerca di sofisticatezze ed estetismi in alcuni passaggi forse troppo marcati. Dipende dai punti di vista perché questo stesso limite potrebbe essere il suo vantaggio, tale da meritare e giustificare la candidatura ai quattro Oscar.

La sera del 4 marzo, insieme ai risultati elettorali, potremo sapere come è andata a finire. La battaglia sarà dura, i concorrenti di Luca Guadagnino sono forti e agguerriti, con alle spalle megaproduzioni ricche di budget e protagonisti, mentre il nostro regista italiano ha solo grande qualità. C’è da sperare che possa esser sufficiente. 

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